Short Theatre | Sei personaggi. Fortebraccio e il meraviglioso gioco del teatro
Dove si trova il confine – ammesso che esista – tra realtà e finzione? Dove si trova oggi, nell’epoca della virtualità, della ricerca di una messa in posa artificiosa purché accattivante (diffidate da chi scrive “senza filtri”: è una bugia detta a fin di maggiori like e condivisioni), del voler essere testimone diretto e comprovato ad ogni costo? È una questione collaterale che nasce durante la visione di Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi?, ultima produzione di Fortebraccio Teatro presentata negli spazi de La Pelanda per lo Short Theatre di Roma l’11 settembre.
Più che una riflessione sul teatro, è una vera e propria immersione consapevole nel metateatro, quello pirandelliano che con i Sei personaggi dipana la distanza tra rappresentazione e vita reale, tra personaggi e attori, tra quel che sta sul palcoscenico e quel che ne resta fuori. Roberto Latini, che cura regia e drammaturgia, eleva – letteralmente – PierGiuseppe Di Tanno su un’angusta pedana, stretta e alta come una piccola “torre” dietro alla quale un telo bianco attende sbuffi d’aria (colpa di un retrostante ventilatore) per avanzare e sfiorare l’attore, e prestarsi, all’occasione, come suo sudario. E da Di Tanno, Latini pretende una prova d’attore non indifferente (e ben riuscita); costretto sullo spazio di un quadrato di pochi centimetri, con attillati pantaloni in latex e una maschera che fa del suo volto un teschio shakespeariano, egli stressa la sua voce e le sue membra, le distorce con sforzi, con storpiature anche caricaturali, per rievocare quei personaggi che non possono, né devono, coincidere con quelli veri. Perché c’è sempre, inevitabilmente, un rimando, una rappresentazione, un filtro tra noi e loro, e questo filtro indispensabile è il corpo dell’attore.
Essere attore e mai personaggio, dunque. Oppure essere attore e uno, nessuno, tutti i personaggi più o meno contemporaneamente. Anzi, essere il testo stesso, didascalie, pause e interruzioni sceniche comprese. Lo sa bene Latini che nel suo sviluppo drammaturgico ci conduce “fuori dal testo”, quello pirandelliano, per affrontarlo, per misurarsi, per vincerne “tutti i diavoli in testa”, sfruttando l’inganno del teatro, l’occasione di giocare a fare sul serio. Così cambia registro dipingendo atmosfere oscure – restituite anche dalle musiche di Gianluca Misiti e dall’illuminazione di Max Mugnai -, per una seconda parte (più interessante) dove guida Di Tonno al cospetto di caratteri amletici, ne fa mediatore di dialoghi e consapevolezze, ne leviga i tratti recitativi di questo settimo personaggio che forse personaggio non è mai stato.
E mentre i personaggi (mai visti) scompaiono dalla scena o dalla vita (o forse no), le scene svaniscono (o forse no), e il palco accoglie una metaforica vasca/bara nella quale morire (o forse no), il confine tra finzione e realtà si rende più visibile. Quel confine è il teatro stesso. È il suo esistere nelle proprie, imprevedibili (per fortuna), metamorfosi. È quello che è appena accaduto. Ognuno di noi lo collochi alla distanza che preferisce, ognuno gli affidi il valore che merita. D’altronde “crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!”.
Quel teschio anch’esso un tempo ebbe una lingua,
e poteva cantare;
e vedi adesso come quel marrano
lo scaraventa a terra, manco fosse
l’osso della mascella di Caino,
che fu il primo assassino.
(Amleto. Atto V, scena I)
Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi?
drammaturgia e regia Roberto Latini
musica e suono Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
assistente alla regia Alessandro Porcu
consulenza tecnica Luca Baldini
collaborazione tecnica Daria Grispino
con PierGiuseppe Di Tanno
produzione Fortebraccio Teatro
con il sostegno di Armunia Festival Costa degli Etruschi
con il contributo di MiBACT, Regione Emilia-Romagna
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