Mamadou Dioume: «Con Edipo studio i rapporti umani di oggi»

L’eredità di Edipo tra classico e innovazione, progetto dell’attore e regista senegalese all’Hamlet di Roma fino al 18 maggio: «Metterò in pratica la lezione di Peter Brook: lavorare sulle contraddizioni e sull’assurdo, cercando ciò che è nascosto nel testo».
È cominciato lo scorso 24 febbraio e durerà fino al 18 maggio, al Teatro Hamlet di Roma, l’interessantissimo progetto L’eredità di Edipo tra classico e innovazione, con direzione artistica di Mamadou Dioume, attore e regista senegalese, la cui ricca carriera teatrale ha visto anche una lunga collaborazione con Peter Brook.

Mamadou Dioume, nel suo progetto L’eredità di Edipo tra classico e innovazione si prevedono workshop, laboratori, conferenze, eventi divulgativi e, per finire, una performance. Da cosa nasce questa iniziativa? E perché si concentra sulla figura di Edipo?
L’idea è stata di Gina Merulla, direttrice artistica del Teatro Hamlet. Qualche anno fa avevamo realizzato con lei lo spettacolo Edipo a Colono, andando in tournée per tutta Italia fino ad arrivare al meraviglioso Teatro di Segesta.
Con un grande lavoro già fatto su Edipo, abbiamo deciso di riprendere in mano il progetto e declinarlo in questa “Eredità”.
Edipo è una figura importante per tutte le culture, non solo per quella occidentale. Nelle tragedie greche, come nella vita, tutto ha inizio nella culla familiare e quindi dai rapporti umani. É da lì che nasce ogni cosa. Tutti i drammaturghi greci si sono sempre ispirati per le loro storie ai rapporti umani, sopratutto quelli familiari.
Nella storia di Edipo si indaga il rapporto tra una madre e un figlio. È dalla storia dei tempi che si narra di questo tipo di relazioni, tra il maschile e il femminile. E questo sarà materiale di studio durante i prossimi workshop. Come mi ha insegnato Peter Brook si lavorerà sulle contraddizioni e sull’assurdo, cercando ciò che è nascosto nel testo.
A chi in particolare intendete rivolgervi con questo progetto? I workshop sono pensati per chi ha già esperienza teatrale o possono essere affrontati da chi è alle prime armi?
Di solito lavoro con attori professionisti, però devo specificare che l’immagine che ho io dell’attore è di un cantastorie che ha la necessità di raccontare qualcosa: può non avere tutte le tecniche e non avere molta formazione ma deve avere qualcosa da portare e condividere, che interessa tutti noi.
Quando lavoravo con Brook, durante gli esercizi, ogni tanto c’era in teatro l’addetto alle pulizie ed era molto interessato a ciò che facevamo. Brook lo invitava a fare gli esercizi con noi, e alla fine ci raccontava delle storie con la meraviglia di un bambino. Era molto bello ascoltarlo.

Lei è un artista di grande esperienza internazionale e, come ci ha appena ricordato, per tutti gli anni Ottanta ha lavorato anche con Peter Brook. Non sorprende quindi che, durante i mesi del progetto, alcuni incontri verranno dedicati proprio ai lavori del regista inglese, tra questi segnaliamo la proiezione del docufilm The Tightrope, firmato dal figlio Simon Brook. Di cosa si tratta?
È un documentario che racconta il lavoro con gli attori svolto da Peter Brook. The Tightrope è il nome di uno degli esercizi che facevano parte del suo metodo ed è basato sulla fune di un funambolo. Ma il vero tema è la distruzione.
Che ricordi conserva dell’intenso periodo lavorativo trascorso assieme a Peter Brook?
Brook viaggiava alla ricerca di persone che avevano qualcosa da raccontare. Veniva a vederti recitare, a tua insaputa, cercando non chi sapesse recitare bene ma attori che ti facevano vivere qualcosa sul palco, in cui lo spettatore poteva specchiarsi.
Un giorno venne in Senegal, io ero al Teatro di Dakar mentre stavo facendo uno spettacolo di 3 ore e 45 minuti senza intervallo, noi siamo abituati così. Mi scelse per lavorare con lui.
Ricordo che dopo qualche giorno di prove mi disse: «Se avessi cercato persone che sapessero dire bene le battute, sarei andato alla Comédie-Française, non avrei fatto 4200 km per venirti a vedere in un teatro in Senegal».
Quale percorso l’ha poi condotta negli anni in Italia, fino a conoscere Gina Merulla e il Teatro Hamlet?
Dopo diversi anni che lavoravo come attore con Peter Brook, lui mi disse che ero pronto per condurre da solo degli stage di formazione; così iniziai quest’attività in giro per l’Europa, soprattutto in Belgio e in Francia.
Mentre ero in Francia per un seminario venne a trovarmi Kuniaki Ida, che ai tempi insegnava alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi a Milano. Mi suggerì di organizzare uno stage in Italia. Nel 2007 incontrai Gina e il suo team che mi proposero di dirigere due stage di quindici giorni a Roma e da lì iniziò la nostra collaborazione.

Alcuni mesi fa è stato direttore artistico della IV edizione dell’“Impact Festival”, con una miscela di teatro, danza e musica. Qual è la genesi che sta dietro la scelta di dare questo nome al Festival e su cosa si basa la scelta artistica?
Il nome “Impact Festival” è un’idea di Gina Merulla ma quando lei me l’ha proposto ho semplicemente detto “Wow”! Quando qualcosa cade a terra ha un impatto con la superficie; per come la vedo io quello che cerchiamo di fare con il Festival ogni anno è proprio questo: il pubblico deve avere un impatto immediato con ciò che vede, cerchiamo qualcosa che tocchi profondamente le emozioni della gente.
State pensando all’edizione del prossimo anno e, se sì, sarà sempre al Teatro Francigena di Capranica?
Il programma 2025 dell’”Impact Festival” non è ancora ufficiale ma ci stiamo lavorando. Quello che faccio con Gina, ci tengo molto a dirlo, è un lavoro di équipe. Progettiamo in maniera sinergica, valutiamo proposte e poi decidiamo assieme. Ci tengo al lavoro di squadra perché la mia formazione è stata questa: prima in Senegal e poi con Peter Brook.
L’EREDITÀ DI EDIPO TRA CLASSICO E INNOVAZIONE
Direzione artistica di Mamadou Dioume
24 febbraio – 18 maggio 2025
Teatro Hamlet
via Alberto da Giussano, 13 – Roma
info e contatti: 06 41 73 49 01 – 333 43 13 086 – info@teatrohamlet.it