Coriolano. La politica d’oggi? Chiedilo a Shakespeare
Per capire il lato oscuro dell’essere umano e, di conseguenza, le effettive intenzioni civili e sociali – di ieri, di oggi e, molto probabilmente, di domani – si devono leggere (bene) Brecht e Shakespeare. Troveremo tra le loro righe le inevitabili indoli illusorie che governano più o meno consapevolmente l’operato politico; troveremo – in tempi e luoghi diversi – un metro di misura dell’istinto e dell’anima, della sua scarsa resistenza alla fame di potere e delle sue spietate abilità d’architettare le vie del dissimulare per regnare.
Nel più politico testo del Bardo, Corioliano, si rintracciano riferimenti calzanti alla nostra attualità politica (coi suoi volti nuovi, vecchi e redivivi), e si riscontra una complementare corrispondenza scenica nella visione registica di Marco Plini, vista al teatro Astra di Torino, con energico ensemble interpretativo di Marco Maccieri, Luca Cattani, Cecilia Di Donato, Luca Mammoli, Marco Merzi e Valeria Perdonò, e produzione di MaMiMò.
All’interessante adattamento lineare e minimalista di Plini si deve la capacità di percorrere le vicende dell’impetuoso, superbo – ma almeno coerente – Caio Marzio (molto ben restituito da Maccieri) mettendo in rilievo l’essenza (losca) della politica: la dedizione recidiva al raggiro per mezzo della parola, la considerazione dei singoli come massa di voti da elemosinare con la persuasione, il rinnovato “garantire” (garantire sempre e comunque) salvo poi “realizzare” a data da destinarsi.
In altre parole, quei i significati che stanno (apparentemente) in secondo piano, e che formano il contesto reale e sociale nel quale vive Coriolano, emergono proprio attraverso le vicende del protagonista prima difensore di Roma contro i Volsci, poi esiliato per volontà del suo popolo, e infine, alleato dei nemici d’un tempo, ritornato bramoso di vendetta.
Si riconoscono i tribuni Bruto e Sicinio (Mammoli, Di Donato), vox populi in carne e ossa, quali incaricati di un Movimento di malessere popolano che però si liberano presto di tute antisettiche (i costumi sono di Nuvia Valestri), bastoni e passamontagna da rivoluzionari di pancia scesi in piazza/platea, per adagiarsi nell’abito elegante e anonimo del politicante. Si riconoscono, in quel giacca-e-cravatta da Iene, anche Cominio e Menenio (Merzi, Cattani) che spacciano il politically correct al microfono, e appuntano nei discorsi promesse d’onestà e di difesa della res publica con la stessa saldezza che ha il fumo di sigaretta (elettronica) nel permanere nell’aria. E si riconosce, in quel giacca-e-cravatta, anche una Volumnia (Perdonò) su tacchi a spillo che è madre/manager pianificatrice, nel nome del figlio, di strategie opportuniste a tavolino (del subbuteo), come una Lady Macbeth con risolute “mani sulla città”.
Sotto quella giacca e quella cravatta, quindi, si consuma l’evoluzione – la fortuna e la disgrazia – di una patria dove c’è chi si prodiga servo della democrazia ma solo per affondare le radici nelle poltrone e farsi pastore seriale di suddita mediocrazia, mietitore di contentini e in cambio di percentuali d’approvazione.
E mentre del popolo ubbidiente siamo campione rappresentativo noi spettatori, che seguiamo ed eseguiamo le indicazioni degli attori, si manifesta la consapevolezza che la convinzione dell’opinione pubblica dura grosso modo una folata di vento: quanto basta perché i valori si barattino con qualche manciata di comizi. Perché la politica vive di consensi da (ri)conquistare più che da rispettare: certo c’è sempre il duro lavoro di trovare un qualsiasi capro espiatorio sotto il quale mascherare il doppio gioco, il cambio di bandiera, la corruzione e il tradimento, ma, d’altronde, per citare un personaggio dal carattere shakespeariano decisamente più recente, «la democrazia è sopravvalutata».
Coriolano
di William Shakespeare
adattamento e regia Marco Plini
con Marco Maccieri
e con Luca Cattani, Cecilia Di Donato, Luca Mammoli, Marco Merzi, Valeria Perdonò
aiuto regia Thea Dellavalle e Angela Ruozzi
disegno Luci Fabio Bozzetta
costumi Nuvia Valestri
video editing e live shooting Samuele Huynh Hong Son
i costumi dei senatori romani sono abiti Luigi Bianchi Sartoria, Mantova
produzione Centro Teatrale Mamimò con il sostegno della Fondazione I Teatri
articolo pubblicato su Tempi, 14 novembre 2017
0 comments