Non chiamatelo “mattatore”

La passione per la recitazione, l’amore per il teatro, la dedizione all’insegnamento. Il ricordo di Gigi Proietti a una settimana dalla scomparsa

A una settimana dalla scomparsa del grande Gigi Proietti, è ancora vivo lo shock collettivo di rara portata che la sua perdita ha comportato per la città di Roma e per tutto il mondo culturale d’Italia.
Se n’è andato non solo un grande artista, ma anche un uomo che si è fatto straordinariamente amare sia dal pubblico che dalle persone che lo hanno conosciuto nel privato. Ed è proprio questo, con ogni probabilità, la chiave della popolarità e dell’affetto fuori dal comune che lo hanno sempre circondato e che, in questi malinconici giorni, hanno fatto da giusta cornice al lungo addio condiviso cui abbiamo assistito. 

Il murale di Maupal al Teatro Brancaccio

Naturalmente, in casi eccezionali come questo, vengono scritti fiumi di parole, si moltiplicano aneddoti, commenti, foto pubblicate da chi amico lo è sempre stato con sincerità e da chi magari spera di apparire tale per non sfigurare. E, ancora una volta, capita di vedere toccanti testimonianze (come quella di Alessandro Gassmann comparsa su “La Stampa”), pudici e dolorosi silenzi (ampiamente preferibili alla banale retorica) come quello di Rosario Fiorello o addii realmente sentiti e particolarmente commoventi come quelli che, in diretta su RaiUno, sono stati letti nella semplice eppure meravigliosa cerimonia laica che si è tenuta al Globe Theatre che Proietti dirigeva. Il teatro shakespeariano nel cuore di Villa Borghese è un’autentica gemma: costruito in appena tre mesi in legno di quercia (come l’originale londinese in epoca elisabettiana), è un luogo certamente unico dove chiunque apprezzi il teatro e la sua essenza, dovrebbe andare almeno una volta (vista anche la notevole qualità degli spettacoli in calendario). Qui, sono state pronunciate orazioni funebri in linea con i più grandi attori del passato, attraverso le quali è stato possibile sentire davvero quale grande eredità si lascia dietro Gigi Proietti, sia dal punto di vista artistico che umano. Colpiscono in particolare Marisa Laurito, Edoardo Leo, Enrico Brignano e Valentina Marziali. 

Gigi Proietti e Vittorio Gassman

Nell’enorme quantità di articoli letti e analizzati in questa settimana (e molti altri ci saranno sfuggiti visti la mole), ce ne sono però alcuni che tendono a stridere un po’ nel quadro generale e sui quali è bene fare una precisazione: si è cioè insistito molto su alcuni aspetti probabilmente un po’ superficiali, che non rendono giustizia, a nostro avviso, a quello che è stato il reale calibro di Gigi Proietti. L’indulgere per esempio sul suo ruolo riduttivamente indicato di “comico”, focalizzare la sua carriera quasi esclusivamente sul personaggio di Mandrake in Febbre da cavallo, il pur godibilissimo film di Steno che dal 1976 vanta ampie schiere di appassionati ma che, chiaramente, non può essere giudicato il momento più alto di chi ha lavorato anche e soprattutto con Mario Monicelli, Elio Petri, Pupi Avati e tantissimi altri – impossibile citare tutti -, o che è stato unico ne La Tosca di Luigi Magni (assieme all’amico Vittorio Gassman).  Probabilmente quegli anni d’oro, non solo per il caro Gigi ma anche per tutta la produzione cinematografica nazionale, potrebbero essere stati offuscati da titoli più recenti che, tra il 2000 e il 2010, lo hanno visto impegnato in progetti decisamente meno all’altezza del suo sconfinato talento.
E comunque, a volerla dire tutta, è proprio in uno di quei dimenticabilissimi film che è stato capace di realizzare una delle scene più divertenti dell’ultimo ventennio, ormai un autentico classico: “La signora delle camelie”. Quasi tutti ne conoscono a memoria le epiche battute, pochi (e non a caso) ricordano il titolo del film da cui è tratto l’episodio, e questo la dice lunga. Ma a scorrere la sua filmografia si rimane stupefatti dalla grande quantità di opere a cui ha preso parte, altro che Mandrake! 

Sorprende anche, in taluni pezzi di giornali e riviste, il termine insistito e grossolano di “mattatore”. Certo, non è facile trovare una definizione univoca per chi è stato cantante, attore, regista, doppiatore (e che doppiatore: il suo inconfondibile timbro ha dato voce, tra gli altri, a Sylvester Stallone, Robert De Niro, Ian Mckellen), poeta, conduttore, direttore artistico del Teatro Brancaccio, del Brancaccino e del Globe Theatre di Roma (per sua fortissimamente voluta realizzazione), scrittore e non ultimo fondatore e maestro di un’accademia di recitazione che dalla fine degli anni Settanta e per tutti gli anni Ottanta ha formato decine di talenti. Ma chi limita Gigi Proietti a semplice “mattatore” evidentemente sottovaluta quella che è invece la nobiltà del teatro popolare, arte in cui è possibile eccellere solo grazie a un’elevata preparazione culturale. Essere un intellettuale dalle radici modeste (era cresciuto, dopo tanti spostamenti, nel quartiere romano del Tufello, ancora oggi ai margini della vita cittadina, figuriamoci settant’anni fa) lo ha certamente aiutato in questo, nella precisa visione in cui veniva coniugata l’arte cosiddetta “alta” con la necessità di renderla comprensibile e apprezzabile da chiunque, anche da chi per varie vicissitudini non aveva avuto fino a quel momento gli strumenti adatti per avvicinarvisi. 

Una “eresia” che tanti esponenti radical-chic non gli hanno mai perdonato, aggrappati alla loro fin troppo elitaria visione della cultura, la quale invece, promossa e diffusa a piene mani, è l’unico vero antidoto al progressivo impoverimento morale cui assistiamo da troppo tempo. 
Il vero regno di Gigi Proietti, infatti, non era il set cinematografico, ma le tavole del palcoscenico teatrale, quelle marcate dal sudore dell’applicazione meticolosa per il mestiere infinito dell’attore, amate in modo viscerale, vera fonte di adrenalina su cui si alza da secoli il sipario in un’eterna rappresentazione delle passioni più profonde della vita: «Benvenuti a teatro, dove tutto è finto ma niente è falso», diceva brillantemente. 

Proprio sul palcoscenico ha dato il meglio di sé con una produzione sconfinata, difficile anche solo da riassumere, in cui si passa da Shakespeare a Molière, da Apollinaire a Brecht, da Goldoni a Sofocle. E poi spettacoli trionfali come Alleluja brava gente di Garinei e Giovannini (dove fa coppia con Renato Rascel e Domenico Modugno), I sette re di Roma di Luigi Magni (dove interpreta in modo esemplare più personaggi). E senza contare le migliaia di repliche del suo cavallo di battaglia A me gli occhi, please, rivoluzionario nella sua incredibile galleria di personaggi, come lo stralunato frequentatore della saùna (sì, con l’accento sulla “u”) in cerca del disperso amico “Toto” o l’adorabile e frastornato vecchietto che confonde in modo esilarante le fiabe; tutti presentati, uno dietro l’altro, in un contesto scenografico minimale. Ma soprattutto, messi in scena in quel Teatro Tenda che aveva già intrinseca la volontà di smontare la struttura fissa del teatro per portarlo direttamente in strada, alla portata di tutti, un ribaltamento completo della visione classica: non più il pubblico che deve entrare (o “cercare”) il teatro, ma l’attore stesso che sotto un tendone, in piazza, si esibisce andando incontro ai suoi spettatori. Fu un successo clamoroso che durò anni. 

Gigi Proietti e Carmelo Bene

E chiudiamo – seppur dimenticando certamente tante, troppe cose – ricordando anche un altro grande interprete come Carmelo Bene, che ha diretto Proietti in un bellissimo La cena delle beffe, e che lo stesso Gigi definì come «Il migliore attore con cui io abbia mai lavorato». 
Solo un artista con così tanta preparazione, tecnica, talento e cultura poteva essere in grado di fornire, senza farsene neanche accorgere, un’autenticità immediata ai suoi personaggi. Si veda ad esempio Il maresciallo Rocca, valido prodotto televisivo che, certamente proprio grazie a lui, dal 1996 al 2008 ha macinato record oggi impensabili, con uno share anche del 40%: praticamente quasi un televisore su due era sintonizzato sulle avventure del carabiniere più amato d’Italia.
Un talento, dicevamo, di cui mai è stato geloso e che ha invece cercato di condividere il più possibile, comunicando e tramandando a schiere di allievi la sua inesauribile passione per la recitazione.

Gigi Proietti in scena al Globe Theatre di Roma

Dopo una settimana così intensa dunque, passata anche a rivedere il suo celebre sonetto pensato per l’estremo saluto ad Alberto Sordi ma che, giustamente, è diventato il suo perfetto epitaffio («Tu non sei soltanto un grande attore, sei molto de più»), possiamo assistere anche al curioso finale di questa gloriosa uscita di scena, avvenuta lo stesso giorno del suo compleanno. Come Shakespeare. 
Le sue ceneri riposeranno nello splendido Cimitero Acattolico di Roma, all’ombra della Piramide Cestia. E non perché Gigi Proietti non fosse credente, lo era e anzi aveva già dichiarato la sua ammirazione per Papa Francesco, ma perché proprio lì si troverà in compagnia di tantissimi artisti come Dario Bellezza, Gregory Corso, Arnoldo Foà, Carlo Emilio Gadda, Andrea Camilleri e naturalmente John Keats, Percy Shelley e molti, molti altri ancora.
Un olimpo in cui prendere il posto che gli spetta e dove, certamente, i romani andranno a rendergli per sempre il meritato tributo. Maestro tra i maestri.