Book of Boba Fett. Se la nave di Star Wars va alla deriva
Non convince la serie dedicata al personaggio secondario cacciatore di taglie e diretta da Robert Rodriguez. È un inciampo di buone idee messe malamente in fila
È difficile immaginare quale sarà il futuro dell’universo di Star Wars. Le serie televisive dedicate stanno cercando di ricreare qualcosa di appetibile per il grande pubblico, dopo il disastro compiuto da Disney con la recente, fallimentare trilogia cinematografica. L’ultima di tali serie è Book of Boba Fett, sette episodi in streaming sulla piattaforma Disney+, che stavolta si concentra sulla figura del misterioso Boba Fett.
Per chi non lo sapesse, questi è uno dei personaggi secondari più famosi di Guerre Stellari. Cacciatore di taglie, è lui catturare finalmente l’inafferrabile Han Solo, come si vede ne L’impero colpisce ancora (1980). Viene poi dato per morto nel successivo Il ritorno dello Jedi (1982) quando finisce nelle fauci di un sarlac, temibile mostro dei deserti del pianeta Tatooine. Grazie a una serie di romanzi, gli appassionati scoprono però come Boba si sia salvato e di come abbia potuto continuare la sua carriera di antieroe ai margini della galassia. E ne scopriamo anche le origini nel film L’attacco dei cloni (2002), dove lo vediamo bambino, clone di Jango Fett (Temuera Morrison): anche lui temuto bounty hunter ucciso per mano del Jedi Mace Wind (Samuel L.Jackson).
Arrivando a tempi più recenti, è con la seconda stagione de Il Mandaloriano (2020) che il cacciatore di taglie finalmente torna in carne ed ossa – interpretato ancora da Morrison – e rappresentato stanco e disincantato. In una sequenza finale, è lui a prendere il controllo del palazzo dell’ormai defunto boss del crimine Jabba the Hutt, aiutato dall’assassina Fennec Shand (Ming-Na Wen, già vista in Agents of S.H.I.E.L.D.).
Dunque è proprio da qui che prende le mosse la nuova serie tv, seguendo Boba mentre cerca di ricavare un suo impero criminale su Tatooine, deciso a smettere di prendere ordini e a gettare le basi per un personale regno, complice il vuoto di potere lasciato dalla caduta dell’Impero Galattico (i fatti si svolgono circa sei o sette anni dopo la trilogia originale).
Come si è salvato davvero dalle fauci del sarlac? Come ha potuto guarire? Come è arrivato a salvare la vita di Fennec? Riuscirà a imporsi sugli altri potenti clan di fuorilegge? Sono tutti interrogativi potenzialmente interessanti e che nelle mani di Jon Favreu e Dave Filoni, veri artefici della rinascita televisiva di Star Wars degli ultimi anni, potrebbero essere la base per una storia avvincente.
In realtà non è proprio così. Anzi, rispetto alle emozioni de Il Mandaloriano, il Libro di Boba Fett è un netto passo indietro, un brutto segnale per chi spera di vedere rinascere questo ormai bistrattato universo narrativo. Non che manchino le buone idee: il cacciatore di taglie, lo vediamo fin dai primi minuti, viene salvato dai Sabbivori (in originale “Tusken Raiders”), tribù nomade delle sabbie, vista più volte nei film della saga. Qui ne scopriamo tradizioni, valori e rituali, qualcosa che fa presa su Boba e che da prigioniero e schiavo diventa un membro a tutti gli effetti della comunità.
C’è la rivalità con i Pyke, altro sindacato criminale, introdotto nella serie animata Clone Wars (2008-2020) e dedito al commercio della potente droga nota come “spezia”. Un riferimento nemmeno troppo velato al modo in cui il narcotraffico sia il vero motore economico di tanti paesi del terzo mondo, di come sia vano resistergli e di quanto sia pericoloso opporsi a chi lo gestisce. Eppure, l’uso di numerosi flashback rallenta di molto la narrazione, trascina il racconto per le lunghe e sembra non si riesca a venire facilmente a capo della trama generale di questa prima stagione (posto che ce ne sia una seconda). Complica le cose l’introduzione di improbabili personaggi che fanno un po’ a pugni con l’estetica tipica di Star Wars, come, per esempio, la banda di cyborg che ama girare per i polverosi, poveri vicoli di Mos Espa in abiti stilosi a bordo di coloratissimi scooter accessoriati. In un ambiente più simile ai western che alle strade di New York, il contrasto è davvero stridente. Ma la peggiore sorpresa arriva dalla regia degli episodi realmente importanti, incluso l’ultimo, il più deludente di tutti: la firma è nientemeno che di Robert Rodriguez, e sì, sappiamo bene che scene sopra le righe e una buona dose di sospensione dell’incredulità sono strettamente necessarie quando abbiamo a che fare con il regista texano.
Fin dal suo esordio con El Mariachi (1992), sparatorie, azione fumettistica e un certo grottesco umorismo di fondo sono stati un suo marchio di fabbrica, visti anche nei sequel Desperado (1995) e C’era una volta in Messico (2003), in cui il mariachi acquisisce le fattezze di Antonio Banderas sostituendo il meno blasonato Carlos Gallardo. Ma bisogna dire che qui si sfiora spesso il ridicolo e – lungi dal voler fare spoiler -, possiamo dire che a tratti alcuni dei personaggi risultano snaturati.
Si passa dai toni seri a quelli farseschi, dando l’impressione che dietro all’intera vicenda non ci sia una sceneggiatura e un’idea coerente su cui lavorare (tanto che lo stesso Boba Fett scompare totalmente per due episodi). A questo aggiungiamo una certa superficialità nella messa in scena, soprattutto quando si tratta di mostrare inseguimenti o sequenze d’azione (alcune decisamente grossolano).
Insomma, per essere una serie scritta quasi per intero da Jon Favreu, possiamo parlare di tante buone idee messe però malamente in fila. Qualche passaggio narrativo è decisamente maldestro, il quadro generale appare pasticciato, confuso. Un brutto inciampo per una sorta di intermezzo in attesa della terza stagione de Il Mandaloriano, della quale però siamo ora meno entusiasti.
Al momento Star Wars sembra essere una nave alla deriva, senza che ci sia nessuno al timone o, forse, dove sono in troppi a litigarsene il possesso.
BOOK OF BOBA FETT
Creatore: Jon Favreau
Stagioni: 1
Produzione: Lucasfilm
Distribuito da: Disney Platform Distribution