Troia Teatro Festival XII

Al termine di cinque giorni (dal 2 al 6 agosto scorsi) vissuti come giurata alla XII edizione del Troia Teatro Festival, dovrei raccogliere i pensieri e scrivere in queste righe un resoconto – più o meno dettagliato – sui lavori, sulle proposte, sui progetti visti nella cittadina foggiana. Quello che tuttavia sento di fare con maggior urgenza istintiva è rievocare e condividere un bagaglio di sensazioni e percezioni che questa esperienza mi ha consegnato, nonostante il caldo (molto caldo) afoso, la fatica, le responsabilità – non solo verso artisti e pubblico – e alcune rinunce, che in quanto membro di giuria ero chiamata a rispettare.

Comincio dall’incontro con un luogo e una cittadinanza sinceri nell’espressione delle proprie memorie e della propria identità; dal contatto con la volontà, la determinazione di portare avanti da dodici anni ormai, e lo si deve a Unione Giovanile Troiana, ACT! Monti Dauni e Teatri 35, col sostegno delle autorità locali e l’impegno imprenditoriale di ECEplast e Sica dal 1929, un percorso d’unione e crescita culturale, in un sud Italia ancora troppo scarsamente valorizzato – anche istituzionalmente – da manifestazioni e organizzazioni artistiche.

Dodici anni di festival, dunque. Da dodici anni Troia ha un rituale appuntamento tra le sue vie, piazze e luoghi storici con spettacoli di prosa e di ricerca, arte di strada, danza, teatro di figura e d’improvvisazione, concerti, dj-set, laboratori e incontri tra pubblico e artisti. E infatti proprio al rito e al rituale, che sia individuale e collettivo, liturgico, laico, solenne o quotidiano – come ha spiegato il direttore artistico Francesco Ottavio De Sanctis -, è dedicata questa edizione della rassegna.

“Verso une flèche” foto Barbara Calì

Su questo tema si sono misurati i sette titoli finalisti in concorso per il “Premio ECEplast S.r.l 2017”: da La scuola non serve a nulla, monologo di Antonello Taurino sulla disastrosa riforma renziana della “Buona scuola”, alla Conferenza / Nudo e in semplice anarchia imputabile a Roberto Corradino, che trae ispirazione dal Riccardo II di Shakespeare per mettere alla prova la pazienza altrui attraverso il divagare; dalla Chiromantica ode telefonica agli abbandonati amori con Roberto Solofria e Sergio Del Prete visionari testimoni di solitudini travestite e dalla società emarginate, scartate come guaste, figlie di un partenopeo ensemble autoriale che si rifà a Ruccello, Moscato, Patroni Griffi, Silvestri, alla costretta convivenza umana in un pensato da Dynamis Teatro, con sette spettatori/cavie partecipanti diretti di un esperimento con regole imposte da una voce e fatte rispettare da un amichevole tutor munito di manganello. Dalle Dita di miele di Alessandra Gaeta, che affida alla propria coreografia il richiamo alla tradizione pugliese della notte dei morti del 2 novembre, al Panenostro di Compagnia Ragli, dove un’onesta vita quotidiana crolla sotto lo squallore della ‘ndrangheta. Fino alla danza di Tecnologia Filosofica che vince il festival con Verso une flèche, traducendo in unica azione poetica il gesto del tiro con l’arco, la ritualità della caccia, il legame vitale tra nascita a morte, e l’unione indissolubile tra predatore e vittima che si spende nella tensione fisica, mentale dello scoccare una freccia, in quell’attimo dilatato che precede la sua – forse fatale, forse fallimentare – partenza.

Ci sono poi due lavori fuori concorso che lasciano un segno particolare in questa edizione: da un lato, Fibre Parallele con The Black’s Tales Tour, dove una molto dark Licia Lanera si mette a nudo tra fumi di nebbia e pensieri ossessivi, e ci conduce in un buio privato fatto di autobiografiche notti insonni e di persone: persone appartenenti al tempo passato della vita, persone appartenenti al tempo immortale delle fiabe dei fratelli Grimm e Andersen,  masticate con le parole e rigettate fuori, per mezzo di un microfono e la sua voce, nella loro essenzialità schietta, cruda, violenta. Dall’altro, i riti dell’artista sarda Alessandra Asuni intorno alla morte (Accabai), alla nascita (Matrici), alla guarigione (Sabi, che qui debutta in una forma ancora legittimamente plasmabile, perfezionabile): intimità teatrali e umane inattese, sorprendenti, disarmanti, da scoprire in luoghi appartati e non convenzionali, da accogliere senza riserve su di sé, sul proprio sentire. Ed è difficile definire le sensazioni – nonostante sia il preventivo intento di questo articolo – che soprattutto i primi due lavori della Trilogia lasciano addosso. Si può dire che non c’è semplicemente un’attrice in mezzo a un numero ristretto di spettatori (12 o 18), che non c’è la rappresentazione di antiche tradizioni a cui assistere, che non c’è una parte che agisce e una che osserva. Ma qualcosa di più intenso che permette una comunione emotiva d’individualità, un confronto inedito e unico con una presenza interpretativa commovente che resta lì sotto la pelle, permanente come una cicatrice.

 

 

Troia Teatro Festival

con il supporto di Comune di Troia – Regione Puglia

con il patrocinio di I Teatri del Sacro/Federgat – Associazione Nazionale dei Critici di Teatro

Main Sponsor ECEPLAST, Sponsor Tecnico MOTTOLA Solutions, Sponsor Sica dal 1929 – Re-Hash

Partner MovidaNight – Skantinato58 Bibliocafè – HandMade Doc Fest

Web Site e Social Media Puglia Off

Ufficio Stampa leStaffette

 

articolo pubblicato su Tempi, 10 agosto 2017