The Dead Dogs. Cronaca di un’inquietudine umana
Thea Dellavalle e Irene Petris presentano in prima nazionale al Cubo Teatro di Torino il testo del drammaturgo norvegese Jon Fosse, tra dinamiche thriller e atmosfere surreali
Il 27 e il 28 novembre scorsi, il Cubo Teatro di Torino, per Fertili Terreni Teatro, ha ospitato il debutto nazionale di The Dead Dogs, lavoro firmato Thea Dellavalle/Irene Petris sulla drammaturgia di Jon Fosse. Un testo che, come sempre nella scrittura dell’autore norvegese, svela nei lunghi silenzi, negli imbarazzi soffocati, nelle frasi non pronunciate, in quelle tronche, ripetute, negli sguardi prolungati, non solo il pensiero e la personalità dei personaggi, ma intere dimensioni spaziali e temporali nelle quali vivono. Ed è un presente indicibile e non-collocabile, i cui contorni sfumati accolgono animi anch’essi diradati, inquieti eppure pacati, drammaticamente segnati da ferite non visibili.
Questa impronta evocativa, propria della scrittura di Fosse, si coglie molto bene nello spettacolo (già vincitore di Forever Young 2017/2018 – La Corte Ospitale) che Thea Dellavalle – alla quale si deve anche la traduzione – e Irene Petris mettono in scena servendosi di pochi supporti scenici (tre panche, della terra e qualche palloncino colorato) e un giusto equilibrio tra regia e interpretazione (precisa di Alessandro Bay Rossi, Giusto Cucchiarini, Federica Fabiani, Luca Mammoli e la stessa Irene Petris) che immerge lo spettatore tra le relazioni umane, tra le loro emozioni, le loro percezioni non-dette.
Lo spazio scarno definisce e relega cinque personaggi in una casa a pochi passi dal fiordo, abitata da un giovane (Giusto Cucchiarini) cronicamente apatico più che meramente pigro, e sua madre (Federica Fabiani), che s’impegna nelle faccende domestiche per distrarsi almeno un po’ dall’angosciata rassegnazione all’immobilità del figlio. Il senso di staticità diffusa s’insinua nei dialoghi tra il giovane e il più propositivo amico d’infanzia (Alessandro Bay Rossi) in un rimando continuo di intenzioni, di progetti ribaditi nelle parole e annientati nei fatti. E s’insinua nello stesso modo anche nell’incontro tanto atteso con la sorella (Irene Petris) e il cognato (Luca Mammoli), testimoni appena giunti di un’immutabilità esistenziale radicata e tenace.
Eppure un evento tragico scuote la vita dei presenti in modo apparentemente “invisibile”: non sono cioè tanto i gesti, i modi o i comportamenti a cambiare radicalmente, quanto i moti interiori, quelli dell’anima e della coscienza. La morte violenta del cane del giovane sveglia in lui un fatale istinto omicida di vendetta. Un fattaccio (di verosimile cronaca nera non privo di precedenti) che mette in moto un meccanismo che se da un lato rivela l’attaccamento affettuoso (al limite del morboso) per l’animale, dall’altro mette l’uomo vis-à-vis con il lato brutale, immediato di sé. E quel che sorprende è che nessuno o quasi – in scena e in platea – si sente di biasimarlo per aver ucciso la persona che ha sparato al cane. Il suo cane. Seppur si tratti di una vendetta inutile: il cane non tornerà – e l’espressione dead dog in inglese si riferisce, non a caso, a qualcosa per la quale non vale più la pena perderci tempo; una situazione ormai non più rilevante o modificabile.
È un lavoro, quello di Dellavalle/Petris, che lascia addosso diverse sensazioni permanenti; e si deve loro riconoscere la non semplice capacità di trasmettere una dimensione surreale che si confonde poco per volta con un’atmosfera thriller, per poi coincidere con un bisogno condiviso di fuga: fuga da quella casa, da quella asfissiante percezione di rallentamento temporale – e si nota un bel gioco d’accostamento fisico ed emotivo tra ansia dell’attesa e indecisione della partenza. E, infine, non è tanto la paura di essere scoperti e arrestati – che pare “spaventare” più gli altri che il giovane reo confesso – a generare inquietudine spiazzante in chi guarda. È piuttosto la mantenuta pacatezza di chi ha deciso del proprio destino con una passività beffarda, controllata. Segnata persino da un sorriso alla Norman Bates appena percepibile.
The Dead Dogs
di Jon Fosse
traduzione Thea Dellavalle
progetto Thea Dellavalle/Irene Petris
con Alessandro Bay Rossi, Giusto Cucchiarini, Federica Fabiani, Luca Mammoli, Irene Petris
suono Claudio Tortorici
con il sostegno di Sementerie Artistiche
spettacolo finalista del bando Forever Young
Cubo Teatro
via Pallavicino 35 – 10153 Torino
contatti info@cuboteatro.it
tel +39 3464739049
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