Un divano a Tunisi. Ritratto elegante d’indipendenza
Manèle Labidi scrive e dirige con ironia la storia di una professionista ed emancipata donna tunisina che sfida tabù e tradizioni all’indomani dalla primavera araba
Il primo lungometraggio scritto e diretto da Manèle Labidi, in uscita nelle nostre sale il prossimo 8 ottobre, è una commedia che scruta con occhio benigno e ironico il popolo tunisino, colto in una fase di transizione conseguente la primavera araba del 2010.
Il punto di vista narrativo coincide con quello della psicologa Selma (Golshifteh Farahani), giovane trentenne che, dopo aver vissuto e lavorato a Parigi, fa ritorno nel suo paese natale per esercitare la professione a Tunisi e lì rintracciare la propria identità e l’amore per la sua nazione. Ma il percorso è tutt’altro che facile.
Sin dall’inizio Selma si trova a dover fronteggiare la pressione dell’opinione pubblica che, per bocca di diverse persone, ripete un concetto chiaro: i tunisini non hanno bisogno della psicoanalisi; men che meno poi se a occuparsi dei pazienti è una dottoressa nubile e tatuata che sfoggia la sua condizione di donna indipendente in uno Stato fortemente musulmano. Un compito e una missione inevitabilmente marchiato come folle. Tuttavia, tra le caratteristiche di Selma c’è una forte risolutezza che la spinge a combattere per affermare la sua validità professionale e il suo valore di donna libera, in netto contrasto con i tabù del contesto in cui vive.
La regista franco-tunisina Manèle Labidi sconfessa quasi subito l’asserzione secondo la quale i musulmani non sentono il bisogno di confessarsi a una psicologa, e impegna ben presto la protagonista nella gestione di una clientela numerosa: pazienti che diventano specchio di una popolazione che attraversa lo smarrimento di un luogo sconvolto dai cambiamenti della primavera araba, che ha vissuto forti ribellioni e la fuga del dittatore Ben ‛Alī e che, in un modo o nell’altro, si è vista gettata in una situazione caotica.
E in questo caos ognuno desidera mettere in ordine la propria esistenza, risolvere i problemi, dissipare rapporti familiari complicati, allentare la sofferenza causata dal vivere rigidamente i costumi imposti dalle tradizioni e dalla religione, riscattarsi dalle difficoltà provocate dalle ristrettezze economiche.
Una lunga fila di ritratti umani che Labidi filma con ironia e leggerezza, riuscendo a strappare numerose risate anche attraverso buone scene comiche ai limiti del surrealismo. Ma non si creda che l’umorismo di cui è permeato il film impedisca di notare la seria denuncia nei confronti di un eccessivo lassismo delle istituzioni nel rispetto delle leggi. Fa eccezione l’integerrimo poliziotto Naim (Majd Mastoura), che minaccia di far chiudere l’attività a Selma per la mancanza della licenza di esercizio, e che, allo stesso tempo, prova un sentimento ambivalente di attrazione-repulsione per questa “post-coloniale” concittadina che guarda i suoi connazionali dall’alto in basso.
E qui la sceneggiatura di Manèle Labi dimostra l’apprezzabile scelta narrativa di mantenere la coerenza comportamentale della protagonista in linea con la sua volontà di rimanere sola e indipendente, senza lasciarsi trascinare da un “pericoloso” interesse per il poliziotto che potrebbe cambiare il suo status quo, enfatizzando l’idea di una donna che non ha necessariamente bisogno di doversi affiancare a un uomo per essere realizzata. Una scelta che esclude, tra l’altro, prevedibili derive romantiche piene di cliché.
In sostanza Un divano a Tunisi è un film intelligente che affronta, con sapiente sarcasmo ed eleganza, diversi temi: la riscoperta delle proprie radici, la possibile rottura dei tabù con necessario equilibrio tra cambiamento e conservazione, il bisogno di farsi ascoltare e l’importanza di una figura capace di ascoltare – oltre a un buono spot sull’efficacia della psicoanalisi.
Se si volesse imputare qualche pecca al film, si dirà che il racconto percorre fatti un po’ troppo scollegati tra loro che possono sia confondere lo spettatore, sia connotare una piccola dose di prevedibilità nella risoluzione dei nodi della storia. Ma, in fin dei conti, si tratta di una pellicola molto gradevole che fa sorridere ampiamente e mostra una visione inedita, per molti, della Tunisia.
Un divano a Tunisi
Regia: Manèle Labidi
Sceneggiatura: Manèle Labidi
con Golshifteh Farahani, Majd Mastoura, Aïcha Ben Miled, Feriel Chamari, Hichem Yacoubi, Najoua Zouhair, Jamel Sassi, Ramla Ayari
Produzione: Kazak Productions, Jean-Christophe Reymond, Arte France Cinéma
Distribuito da: BIM Distribuzione
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