La chiamavano Terra Santa. Alda Merini e la forma dei fantasmi

Il dramma scritto e diretto da Stella Novari e Alessandro Fea ripercorre gli anni più difficili della grande poetessa, in un viaggio fisico ed emotivo tra angosce e sprazzi d’umanità

Alda Merini è stata una delle più influenti poetesse italiane, autrice di innumerevoli libri e raccolte, e testimone diretta dell’esperienza profondamente traumatizzante che si poteva vivere nelle strutture dei manicomi, aboliti, com’è noto, con la Legge Basaglia del 1978.

L’interpretazione intensa ed emozionante di Stella Novari in La chiamavano Terra Santa ha portato, sul palcoscenico del Teatro Cometa Off di Roma, l’anima di questa donna, raccontandone gli anni più difficili, quelli che l’hanno forse maggiormente segnata, restituendoci, grazie a brani tratti da poesie e diari dell’artista, le sofferenze delle lente giornate trascorse tra le mura dell’istituto di psichiatria.

La chiamavano Terra Santa
“La chiamavano Terra Santa”. Regia: Stella Novari, Alessandro Fea

Si comincia dal conflittuale rapporto col marito, distaccato, fedifrago e incapace di comprendere i tormenti della moglie, donna da sempre particolarmente sensibile e incline alla malinconia.
Le liti e le tensioni coniugali fanno sì che nel 1964 venga per lei richiesto l’internamento in manicomio (le era stato diagnosticato un disturbo bipolare), dando così inizio ad un periodo durissimo che, eccetto qualche breve pausa, si protrae per quasi un decennio.

Alda Merini torna a scrivere solo nel 1979, pubblicando negli anni successivi quello che è stato definito il suo capolavoro: La Terra Santa, appunto, che le vale il prestigioso premio “Librex Montale” nel 1993. Un’attività letteraria che, ormai ripresa, non si è più fermata fino alla morte, avvenuta nella sua Milano nel 2009, al termine di una esistenza che è rimasta comunque piena di ostacoli.

La chiamavano Terra Santa
“La chiamavano Terra Santa”. Regia: Stella Novari, Alessandro Fea

Scritto dalla stessa Stella Novari insieme ad Alessandro Fea, il quale ha curato la particolare sonorizzazione dello spettacolo, il testo è stato portato di nuovo in scena ripercorrendo le riflessioni, le angosce, le umiliazioni e gli sprazzi di umanità vissuti dalla poetessa, coinvolgendo il pubblico in un drammatico viaggio fisico ed emotivo nei meandri dell’ospedale psichiatrico in cui è stata lungamente rinchiusa.

La scena è divisa in due parti: lo studio della propria abitazione da un lato, con la macchina da scrivere su una caotica scrivania, e l’austera cella del manicomio dall’altro, dove è presente solo un lettino.
Queste sono separate da un piccolo spazio in cui la protagonista rievoca il gioco della campana, remoto ricordo d’infanzia, e da un semplice attaccapanni sul quale sono appesi gli unici, simbolici abiti di scena indossati: la vestaglia di casa e il camice bianco dei pazienti internati.

La chiamavano Terra Santa
“La chiamavano Terra Santa”. Regia: Stella Novari, Alessandro Fea

Questo passaggio tra gli ambienti è rapido eppure sconvolgente: è una efficace metafora della facilità con cui si scivola tra tali mondi, spazi fisicamente vicini ma enormemente lontani.
Una dualità sottolineata da tracce sonore a tratti delicate, poi repentinamente disturbanti.
La vita all’interno dell’istituto è alienante, debilitante, separata da tutto ciò che per chiunque è ordinario, dove perfino vedere il sole diviene una festa. Infatti, Alda Merini scrive: «E, pur tuttavia, quella io l’ho chiamata Terra Santa proprio perché non vi si commetteva peccato alcuno, proprio perché era il paradiso promesso dove la mente malata non accusava alcun colpo, dove non soffriva più, o dove il martirio diventava tanto alto da rasentare l’estasi. Sì, la Terra Santa. E noi vi eravamo immersi, in quelle latrine puzzolenti, dalle albe (ma non vedevamo mai un’alba) al tramonto più cieco…».

Durante i periodi in cui le viene concesso di tornare a casa, rimane incinta della terza e poi della quarta figlia (prima di essere internata era già madre di due bambine), ma dopo il parto queste le vengono immediatamente sottratte poiché ritenuta incapace di crescerle. D’altra parte, i dottori e il resto del personale possono mostrare a volte umanità, certo, ma spesso si rivelano praticamente degli aguzzini.

La chiamavano Terra Santa
“La chiamavano Terra Santa”. Regia: Stella Novari, Alessandro Fea

In uno dei momenti più efficaci, questo rapporto complicato con i medici viene rappresentato con l’uso di burattini: brillante sistema per raccontare la verità dei fatti pur rendendola “altro”, uno spettacolo all’interno di uno spettacolo. Quello che accade in un manicomio è cioè reale e al tempo stesso quasi immaginario.
Stella Novari però, ottima la sua prova d’attrice, se si tratta di dare una forma tragicamente tangibile ai fantasmi che la circondano, riesce quasi a materializzare di fronte agli spettatori persone che, pur non essendo con lei in scena, diventano improvvisamente presenti e inquietanti: può essere il marito con cui non intende condividere la sua quotidianità o può invece essere una brutale e insensibile infermiera.

Quando alla fine questo incubo termina, il pubblico è emotivamente provato e al tempo stesso sorpreso di come un’esperienza così estraniante e spaventosa non abbia piegato l’artista Alda Merini, ma ne abbia semmai rafforzato l’animo, capace anche, fra tanto dolore, di trovare il bello della vita, di apprezzare il significato di quanto le è capitato e di metterlo in poesia.     

LA CHIAMAVANO TERRA SANTA
Drammaturgia e regia: Alessandro Fea e Stella Novari

con Stella Novari

Sonorizzazioni e live music: Alessandro Fea

Teatro Cometa Off
Via Luca della Robbia, 47 Roma
Info e contatti: Tel. 06.57284637 – cometaoff.it