Figlie selvagge. Storie di donne, tra leggenda e arte medica
Cinzia Giorgio racconta il suo nuovo romanzo al Marconi Teatro Festival. Una vicenda della metà del Seicento piena di tradizioni, credenze e “medichesse”
Anche quest’anno, come di consueto, è in pieno svolgimento (dal 12 al 31 luglio) il Marconi Teatro Festival, nello spazio romano all’aperto (e totalmente rinnovato), con spettacoli, musica, danza, serate di stand-up comedy e presentazioni di libri.
Ne approfittiamo per partecipare a un interessante incontro con la scrittrice Cinzia Giorgio, autrice del libro Figlie selvagge, edito da Rizzoli, sul palco insieme alle moderatrici Elisa Fantinel, ufficio stampa del teatro, e Vanessa Adabire Aznar, fondatrice della pagina @politicasostantivofemminile.
Il romanzo ambientato nella metà del Seicento, ha come protagoniste alcune donne del beneventano il cui ruolo era molto peculiare. Si tratta cioè delle cosiddette “medichesse”, le cui pratiche curative affondavano le radici nell’antica, secolare conoscenza delle erbe e della natura.
Un’attività che, come si può immaginare, non era vista di buon occhio da una parte della società, anche perché – e non è un particolare da poco – veniva svolta in modo del tutto gratuito o al massimo, con la formula del baratto, erano scambiati beni di prima necessità.
Il dialogo con Cinzia Giorgio è stato intervallato da tre brani del libro letti dall’attrice e autrice Arianna Cozzi che, da questa edizione, ha affiancato e supportato l’iniziativa e l’entusiasmo del direttore artistico Felice Della Corte.

Dopo una breve introduzione curata da Elisa Fantinel, che ha sottolineato come le protagoniste siano chiamate “janare” (termine che nella tradizione popolare del Sannio, giunta fino a tempi relativamente recenti, significa sostanzialmente “streghe”), l’autrice ha spiegato come le storie di queste donne le erano note da molto tempo. A cominciare dal suo luogo natale, Venosa, in provincia di Potenza. Da qui le capitava di spostarsi spesso a Benevento dove le leggende sulle “streghe” erano risapute da tutti.
Due anni fa però, durante una cena, una sua amica che si occupa di storia medievale le ha raccontato della figura storica di Maria la Rossa, resa famosa da Italo Calvino, il quale, però, in uno studio sulle favole e il folklore italiano, erroneamente la colloca a Napoli, nella zona di Port’Alba, quando invece Maria la Rossa è del Sannio.
Un dettaglio che ha acceso immediatamente la curiosità dell’autrice che, in seguito a studi poi condotti in prima persona, ha cominciato a pensare alla struttura del libro.
Interessanti anche le questioni “politiche” che l’attività delle “janare” sollevavano, con una precisazione importante. Il termine con cui queste venivano indicate si portava dietro un sapore dispregiativo: si trattava di vere e proprie guaritrici, le “medichesse” appunto, che però nulla avevano a che vedere con la magia nera. Dunque, il vero problema che rappresentavano per il potere costituito aveva un risvolto più “economico”: infatti le persone più povere preferivano rivolgersi a loro piuttosto che ai medici ufficiali perché, come accennato, non si facevano pagare se non con beni essenziali.
Erano insomma delle concorrenti scomode che, oltretutto, sapevano svolgere molto bene il loro mestiere.
La cosiddetta caccia alle streghe aveva infatti ragioni ufficiali di carattere religioso o etico, ma dietro si nascondevano motivazioni più pratiche: per esempio il denaro.
Le “medichesse” accettavano semplicemente del pane o dell’olio, è vero, ma a questo si aggiungeva un’altra questione: per esercitare l’arte medica veniva richiesto a chi la praticava (come per esempio i barbieri, che fungevano da dentisti o da ginecologi in condizioni igieniche precarie) il versamento di una tassa molto alta che, invece, le donne che abitavano nei boschi non pagavano affatto.
Si trattava dunque di una vera e propria missione da svolgere in un contesto che poteva rivelarsi pericoloso per loro perché, non essendo certo delle nobili benestanti, diventava facile colpirle e isolarle.
Le donne, prosegue l’autrice, sono d’altra parte inclini a fare gruppo, a stare insieme, a non cercare il conflitto. Molti credono che siano litigiose, in continua competizione tra loro e, quando questo in effetti accade, probabilmente, secondo Cinzia Giorgio, è un atteggiamento frutto del retaggio di una cultura patriarcale.
In realtà, a suo modo di vedere, quello femminile è un atteggiamento sempre amorevole, materno (anche da parte di chi non è madre), e dunque portato alla cura dell’altro. È per questo che il rapporto con la natura è tanto spontaneo; così come lo slancio verso una “sorellanza” mai sopita nel corso della storia.

Tornando alla storia di Figlie selvagge, viene notato come, contrariamente a quanto ci si potrebbe immaginare, non c’è la presenza di un potere religioso in aperto contrasto con le “medichesse”.
Anche qui Cinzia Giorgio, avendo attinto a fonti documentate, coglie l’occasione per fare una precisazione: nel Seicento, Benevento non faceva parte del Regno di Napoli, ma era una enclave dello Stato Pontificio e rispondeva così a indicazioni provenienti dal Papa.
Il monastero nominato nel racconto, San Pietro delle Monache, decise però di ignorare gran parte delle direttive papali (improntate ad una rigida austerità, per effetto della Controriforma), approfittando della lontananza da Roma.
Il motivo? Non isolarsi, non rinchiudersi tra le mura benedettine lasciando la popolazione abbandonata a se stessa in un momento particolarmente grave, caratterizzato da peste e carestie.
Le monache che lì vivevano, in gran parte nobildonne, avevano una mentalità indipendente e dunque preferivano l’aiuto delle cosiddette “janare” quando si trattava di esperienze curative. Per questo le proteggevano e ne erano alleate.
E non era qualcosa di raro: luoghi come questi, infatti, fornivano facilmente assistenza e supporto a persone deboli o svantaggiate come ad esempio i disabili (nel libro, non a caso, sono rappresentati da un personaggio di nome Gerardo), che, se lasciati soli, potevano andare presto incontro a un destino infelice.
In questo mondo lontano richiamato da Cinzia Giorgio, la protagonista Bianca (nome che indica purezza e vitalità), è la proiezione letteraria di questo mondo antico ma ancora così attuale, e simboleggia quelle donne cresciute troppo in fretta a causa delle avversità della vita.
Bianca vive nei boschi, ha modi rustici, ed è una “figlia selvaggia” che poi attira a sé Rosa e Maria, le altre due figure femminili al centro del romanzo.
Prima di chiudere questo interessante incontro, c’è tempo per un’ultima riflessione. Esistono oggi delle moderne “janare”, cioè donne ostracizzate o emarginate? Purtroppo sì. Anche se Cinzia Giorgio ha in mente non tanto il nostro paese – dove, sottolinea «c’è ancora tanto da fare» -, ma luoghi come il Medio Oriente, l’India, il Pakistan o la Cina, in cui alle donne non viene data voce né diritti, e sono costrette a subire vessazioni e ingiustizie di ogni genere.
Così il messaggio che arriva da Figlie selvagge è forte: ricordare alle donne, e agli uomini, che è giusto unirsi ma al fine di seguire un percorso volto al bene, senza riproporre al prossimo ciò che di male si è subito.
FIGLIE SELVAGGE
di Cinzia Giorgio
Editore: Rizzoli
Anno edizione: 2025
Pagine: 352 pp.
Prezzo: € 18,00
