Holy Spider. L’incubo lucido della violenza (sulle donne)
In sala il film dell’iraniano Ali Abbasi che disegna un ritratto sociale stratificato e complesso del nostro tempo. Con le interpretazioni maestose di Mehdi Bajestani e Zar Amir Ebrahimi
Tratto da fatti realmente accaduti, il film racconta la storia di Saeed Hanaei, definito il “killer ragno”, un uomo che, tra il 2000 e il 2001, uccise in Iran sedici donne nella città sacra di Mashhad. Hanaei uccideva le donne perché prostitute, con la radicata convinzione di realizzare una missione di purificazione del degrado in cui riteneva essere caduto il proprio paese. Hanaei era certo che a guidare le sue mani fosse il volere divino e che la sua crociata personale fosse la prosecuzione di una vita di combattimenti in nome della fede.
Con le proprie mani Hanaei soffocò sedici persone da lui giudicate impure, prima di essere arrestato e processato. Quando ciò accadde non tutti in Iran lo videro come un colpevole: una parte dell’opinione pubblica e dei media conservatori iniziò anzi a celebrare Hanaei come un esempio. A indagare su Hanaei era giunta, dalla capitale Teheran, Rahimi, una giornalista determinata a scoprire la verità. Anche Rahimi – che a differenza di Hanaei è un personaggio di fantasia – ha la sua storia: era stata allontanata da Teheran per aver denunciato il proprio editore per molestie, ed emarginata dai suoi colleghi che si erano scagliati contro di lei invece che contro il suo molestatore, accusandola di essere una prostituta. Ma Rahimi è una donna intelligente e tenace, che ama visceralmente il suo lavoro, e ciò la porta a mettersi sulle tracce Hanaei, non solo per fermare i suoi crimini, ma anche per opporsi a una società in cui, contrariamente a ogni evidenza, le vittime possono essere viste come colpevoli e i carnefici come eroi.
Esce nelle sale cinematografiche italiane il noir Holy Spider, del regista iraniano Ali Abbasi, presentato in anteprima al 75º Festival di Cannes – dove Zar Amir Ebrahimi ha vinto il premio come miglior attrice – distribuito dalla Academy Two a partire dal 16 febbraio. Il film sarà candidato, quale migliore film straniero, alla prossima edizione dei premi Oscar, come lo fu anche il precedente film di Abassi Border, molto apprezzato da pubblico e critica.
Nel suo film, Abbassi, trasferitosi in Europa proprio all’epoca dei fatti narrati, ha deciso di raccontare la storia spogliandola di ogni mitologia derivante dalla cinematografia sui serial killer, rinunciando quindi a ogni mistero o colpo di scena. Il suo Saeed è protagonista del film da subito, tanto quanto l’eroina Rahimi, che gli dà la caccia, e lo spettatore assistendo ai loro percorsi, prima autonomi e poi incrociati, ha modo di entrare profondamente nella psicologia dei due personaggi, condividendo le loro ossessioni e i loro traumi, ma anche la quotidianità delle loro vite. Un dualismo vissuto a distanza, senza retoriche o trionfalismi, senza invenzioni o stratagemmi, ma solo con la loro vita, fatta di piccoli gesti e vane speranze, in cui possono sussistere fragili momenti di felicità e di leggerezza vissuti, però, sempre sull’orlo di un orribile baratro.
Aiutano il processo di immedesimazione del pubblico le perfette interpretazioni dei due attori protagonisti: maestoso Mehdi Bajestani, nel ruolo di Saeed, che riesce a dare profondità e realismo a un personaggio che facilmente rischiava di cadere nello stereotipo e che invece appare in tutta la sua drammatica realtà. Soprattutto poi nei momenti in cui Saeed riveste il ruolo di marito e padre di famiglia, dimostrando anche la sua capacità di amare, l’interpretazione di Bajestani riesce a trasmettere l’orrore più profondo e straziante, che lascia brividi sotto la pelle e che raggiunge solo il suo acme nelle scene di omicidio.
Straordinaria, e giustamente premiata, la performance di Zahra Amir Ebrahimi, nel ruolo di Rahimi. L’attrice iraniana è fuggita dal suo paese nel 2006, quando la sua carriera e la sua stessa vita sono state messe a repentaglio da un video intimo pubblicato online senza il suo consenso, per il quale ha rischiato di essere frustata e lapidata. È dunque lei stessa, prima ancora che il suo personaggio, il simbolo iconico di una vittoria sull’ignoranza e sulla violenza che rischiavano di sopraffarla e un trionfo su ogni forma di prevaricazione sulle donne, in Iran come nel resto del mondo.
La fotografia illumina la città alternando volutamente sfocatura e nitidezza – le strade sono state riprese non in Iran ma in Giordania – e assegna al film l’atmosfera di un incubo lucido. La colonna sonora poi, straziante, improvvisa e quasi fuori contesto, riesce a rendere ancora più vivido e penetrante l’orrore.
Il film più che un thriller, di cui la regia elimina ben presto tutti gli elementi fondanti, con un’operazione di progressiva sottrazione che risulta complessivamente anche eccessiva, rappresenta piuttosto un ritratto sociale stratificato e complesso, dove le donne, e non solo quelle iraniane, sono chiamate a combattere ogni giorno, e a ogni costo, per non essere vittime.
Ma Holy Spider è anche una riflessione sugli aspetti più grotteschi del nostro tempo, in cui sembra non interessare più la verità, che viene considerata anzi un elemento di disturbo rispetto alla rassicurante solidità di dogmi e convinzioni, e in cui attecchiscono facilmente propaganda e mistificazione. L’orrore esiste ed è profondo, e il film ci dimostra come i crimini non siano che la punta dell’iceberg di una tossicità diffusa e ramificata capace di generare violenze, di replicarle e di farle proliferare.
La tela del ragno è molto più ampia di quello che si crede ed è molto facile venirne imbrigliati: e succede senza nemmeno accorgersene.
HOLY SPIDER
un film di Ali Abbasi
con Mehdi Bajestani, Zar Amir Ebrahimi
Produzione: Profile Pictures, One Two Films
Distribuito da: Academy Two