Tori e Lokita. Esseri umani: peccato originale

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In sala dal 24 novembre, un film che poteva essere magnifico. I fratelli Dardenne denunciano senza filtri il dramma dell’immigrazione in Europa: ma procedere per sottrazione fa arrancare la storia

Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò. E infine il Signore, sull’angelo della morte, sul macellaio che uccise il toro, che bevve l’acqua, che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò.
Sono le parole con cui culmina la magnifica e memorabile canzone “Alla fiera dell’Est”, che Angelo Branduardi liberamente trasse dal canto pasquale ebraico “Chad Gadya”. Dell’importanza del brano e del suo significato universale sono ben consapevoli i registi e fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, tanto dall’inserirla al centro del loro nuovo film Tori e Lokita, già in concorso al Festival di Cannes, dove ha ricevuto il premio del 75° anniversario, distribuito in Italia dalla Lucky Red, nei cinema dal 24 novembre.

“Tori e Lokita”. Regia Jean-Pierre e Luc Dardenne

Il film, che affronta uno dei temi oggi più attuali, quale quello dell’immigrazione e della sostanziale assenza in Europa di qualsivoglia capacità d’integrazione, crea, come nel testo della canzone, una parabola in cui tutti i protagonisti, che compaiono e si accumulano, vengono inghiottiti in un vortice di violenza che ossessivamente si ripete, alla ricerca costante e disperata di un senso (che non esiste se non nella violenza stessa).  

La storia racconta di Tori e Lokita, un bambino di 12 e una ragazza di 16 anni che, fuggiti dall’Africa subsahariana e sbarcati in Sicilia, cercano di costruire in Belgio una vita che gli restituisca una normalità mai vissuta, chiedendo solo di poter ricevere un’accoglienza, reale ed effettiva, che gli consenta di studiare, lavorare, legalmente e dignitosamente, e sostenere i propri cari lasciati in Africa.
I due protagonisti, uniti tra loro da un legame ben più forte del sangue, si scontrano con l’assenza di ogni volontà d’integrazione da parte di un sistema che, perso nella propria burocrazia e con l’alibi costante di difendere la propria integrità, li lascia vittime della violenza e del crimine.  

“Tori e Lokita”. Regia Jean-Pierre e Luc Dardenne

Non esistono ragioni possibili quando si lascia che un essere umano venga abbandonato, quando si smette di ascoltare la sua voce, quando si distoglie lo sguardo per non incontrare i suoi occhi che chiedono aiuto. Non esiste motivo alcuno che possa rendere legittima la mancanza di soccorso di chi è in pericolo, di chi è ammalato, o di chi chiede cibo e acqua. Non esistono leggi, su questa terra e altrove, che possano conferire il diritto di negare a un altro essere umano la sua salvezza. Essere umani significa innanzitutto rispettare la sacralità dell’umanità degli altri. Non farlo, per qualsiasi motivo o convinzione, significa rinunciare a se stessi, perdendo progressivamente quello che si è.
Ma cosa resta alle persone quando rinunciano alla propria umanità? Solamente spazi vuoti, presto riempiti dalla melma dell’interesse e dal fetore dell’ignavia.    

Il film Tori e Lokita è quindi innanzitutto un film di denuncia che, nel raccontare ciò che accade a molti bambini e ragazzi immigrati senza famiglia che approdano in Europa, abbandonati dalle istituzioni, condanna i sistemi adottati dai paesi europei, di cui è evidente e imbarazzante l’incapacità di comprendere e gestire le realtà da affrontare, a partire dai legislatori e arrivando ai burocrati.
L’integrazione, pur sbandierata, è resa impossibile dall’assenza di volontà, prima ancora che di organizzazione e di strumenti. Gli immigrati o sono respinti, oppure accolti solamente come numeri, mai come persone, e come tali vengono trattati, sia per mare che per terra. Nell’indifferenza di molti – per fortuna non di tutti, ma non è sui pochi che si concentra il film – l’unica a interessarsi in modo massiccio ai profughi sembra essere la criminalità, in tutte le sue forme, che vede in loro manovalanza per i suoi traffici o facili prede da ricattare e derubare di soldi e dignità. E tutto questo avviene ogni giorno nelle civilissime città della civilissima Europa.    

“Tori e Lokita”. Regia Jean-Pierre e Luc Dardenne

I belgi Jean-Pierre (classe 1951) e Luc (classe 1954) Dardenne, dopo aver vinto la Palma d’oro a Cannes, con Rosetta nel 1999, e L’Enfant – Una storia d’amore nel 2005, e il Grand Prix Speciale della Giuria, con Il ragazzo con la bicicletta del 2011, tornano al cinema rappresentando, come ci hanno già abituato, uno spaccato di vita vera, con la loro capacità, più volte dimostrata, di descrivere la realtà senza filtri o spettacolarizzazioni. Con il loro obbiettivo, i due registi inquadrano il mondo e lo mostrano per quello che è e nelle condizioni in cui è. Ogni attimo racchiude in sé un caledoscopio di emozioni e anche nei momenti più drammatici si colgono sprazzi di gioia e di umorismo, perché anche davanti al male può esservi un sorriso. Gli spettatori si ritrovano quindi calati subito e pienamente nella storia e percorrono la stessa strada dei due giovani protagonisti, soffrendo e ridendo con loro.  

I due giovanissimi attori, Pablo Schils e Joely Mbundu, Tori e Lokita appunto, sono semplicemente straordinari, con una recitazione intensa e sincera, e merita un grande plauso anche l’attore kosovaro Alban Ukaj, che interpreta Betim, un cattivo realistico (finalmente!), di quelli che si possono purtroppo incontrare nella vita vera.    
Non sono pochi quindi, e sono certamente sufficienti, i motivi per cui Tori e Lokita sia un film da vedere e su cui continuare a riflettere e dibattere anche dopo che si è usciti dalla sala. Tuttavia, non tutto funziona come dovrebbe, e questo è certamente un peccato, perché il film, per la qualità della regia e per l’importanza della storia, meritava di convincere fino in fondo.
Il tocco dei Dardenne cerca, e spesso ottiene, la violenza narrativa più nell’omissione che non nella rappresentazione: i momenti più intensi e d’impatto sono quelli che non si vedono e sono lasciati solo immaginare. Ma questa linea, quasi nichilista, se spesso funziona, alla lunga sembra essere abusata, apparendo come una rinuncia più che come una scelta. 

“Tori e Lokita”. Regia Jean-Pierre e Luc Dardenne

Dopo la prima metà del film, impeccabile, il motore della narrazione sembra arrancare e il film arrovellarsi su se stesso, perdendo la direzione della storia. A forza di sottrarre più che di aggiungere, al film a un certo punto resta solo l’intensità scenica dei due protagonisti, e lasciare tutto sulle loro spalle se, da una parte, è coerente con la storia di vessazione raccontata, dall’altro, mina la tenuta stessa del film che sembra arrivare senza la convinzione necessaria al suo finale che appare essere più una rapida chiusura che non un vero e proprio epilogo. 

Tori e Lokita poteva essere un film magnifico, gli ingredienti sul tavolo c’erano tutti, ma poi non tutti sono stati usati durante la preparazione. Resta un film bello e da vedere, su un tema drammaticamente importante. Un tema che ha a che fare prima di tutto con la natura umana, con ciò che l’umanità vorrà fare di sé in futuro – se un futuro vorrà averlo – e con la sua effettiva volontà di sottrarsi finalmente alla violenza della fiera dell’est.

TORI E LOKITA
Un film di Jean-Pierre e Luc Dardenne

con Pablo Schils, Joely Mbundu, Alban Ukaj, Tijmen Govaerts, Charlotte De Bruyne, Nadège Ouedraogo, Marc Zinga

Produzione: Les Films du Fleuve, Archipel 35, Savage Film
Distribuito da: Lucky Red

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