100 anni di Albertone
Permette? Alberto Sordi, il film biografico diretto da Luca Manfredi, in onda stasera su Rai Tre, con un convincente Edoardo Pesce
Ricorre questo mese il centenario della nascita di Alberto Sordi, celebrato con una serie di eventi che, al momento, sono stati in larga parte rimandati per l’epidemia di Covid-19. Su tutte queste iniziative, spicca l’inaugurazione, il prossimo settembre, di una grande mostra a lui dedicata presso la villa che fu la sua abitazione per decenni, nei pressi delle Terme di Caracalla. É bene quindi tornare a parlare del primo film biografico su Alberto Sordi che, lo scorso 24 marzo, è stato trasmesso su Rai Uno, e che, stasera, sabato 20 giugno, tornerà su Rai Tre alle 21.45.
Interpretato da Edoardo Pesce, il racconto si apre con l’attore, ancora adolescente, che incappa nella sua prima, cocente delusione professionale. Trasferitosi verso la fine degli anni Trenta a Milano, e iscrittosi all’Accademia dei Filodrammatici per studiare recitazione, l’attore trasteverino viene cacciato dalla scuola. Secondo la sua insegnante, infatti, Sordi ha un accento romano troppo vistoso e una totale mancanza di talento. Espulso, dunque, e perso anche il lavoro come usciere d’albergo che gli permette di mantenersi, è costretto a tornare a Roma e a confessare il proprio fallimento ai genitori (interpretati dai bravi Giorgio Colangeli e Paola Tiziana Cruciani).
Molti al suo posto avrebbero mollato per riprendere gli studi lasciati e inseguire le proprie aspirazioni. Per fortuna sua – e del cinema italiano -, Sordi decide invece di insistere e di mettere brillantemente a frutto le sue capacità nel mondo del doppiaggio diventando, com’è noto, la voce nostrana di Oliver Hardy. I film di Stanlio e Ollio gli consentono quindi di continuare a frequentare lo spettacolo e di continuare ad accarezzare i propri sogni, spinto da una giusta ambizione di diventare molto più dell’uomo che presta la voce a un attore americano.
Scoppia il secondo conflitto mondiale, arrivano i primi amori, ma nulla lo distoglie dall’idea di diventare un interprete affermato. Il padre, Pietro, che suona la tuba al Teatro dell’Opera di Roma muore in quegli anni. Alberto Sordi, suo fratello Giuseppe (che studia da ingegnere), le sorelle Favina e Aurelia, e la madre Maria Righetti, rimangono così soli a fronteggiare il dopoguerra, sebbene forti della loro coesione familiare. I momenti difficili non mancano, gli stenti neppure. A quel tormentato periodo appartiene anche la lunga, complessa ma importante storia sentimentale con l’attrice Andreina Pagnani (Pia Lanciotti), già famosa e più matura di lui di ben quindici anni. Una relazione quindi problematica per l’epoca che, nonostante la sua intensità, finisce dopo un decennio fra le incomprensioni e l’impietoso passare del tempo.
Non poteva essere tralasciato, in questo affresco sulla tortuosa gavetta dell’attore, la narrazione della grande amicizia con Federico Fellini (Alberto Paradossi), anch’egli naturalmente destinato a enormi fortune cinematografiche. Compagni di interminabili serate trascorse a sognare, patire la fame, e ritrovarsi squattrinati, i due si sostengono a vicenda nei momenti più duri, come le prime impietose critiche nei confronti dei titoli d’esordio di Sordi quali Mamma mia che impressione! (1951) di Vittorio De Sica (trasposizione cinematografica di un personaggio che in quel periodo riscuoteva un ottimo successo radiofonico) o Lo sceicco bianco (1952), diretto dallo stesso Fellini.
Nonostante tutto, però, la ruota comincia a girare per il verso giusto perché di lì a poco sarebbe uscito nelle sale I vitelloni, che Sordi interpreta ancora sotto la regia dell’amico Fellini. Per entrambi è la chiave di volta. Mentre l’attore romano gira con Steno Un giorno in pretura (1953), esordio del personaggio di Nando Mericoni poi consacrato l’anno successivo in Un americano a Roma, il regista romagnolo inizia il suo percorso verso il primo Oscar, ottenuto nel 1957 con La strada. I momenti più bui sono ormai alle spalle per i due grandi artisti che – parlando amabilmente – si allontanano a braccetto per le vie notturne di Roma verso un luminoso futuro.
Luca Manfredi, regista e sceneggiatore di lungo corso (soprattutto televisivo), è al timone di una difficile impresa: portare sullo schermo una vicenda complessa come quella degli esordi di Alberto Sordi. Aiutato nella scrittura da un altro esperto come Dido Castelli, e dallo stesso interprete Edoardo Pesce, l’impresa può considerarsi riuscita, pur con alcuni limiti.
Cominciamo col dire che la sorpresa è proprio la recitazione di Pesce, capace di calarsi nella parte di Sordi con grande efficacia. La bravura dell’attore non è una novità: basta citare Dogman di Matteo Garrone, pellicola per la quale nel 2019 gli sono stati tributati il Nastro d’Argento e il David di Donatello.
In alcuni momenti sembra davvero di osservare Alberto Sordi nel suo modo di muoversi, di parlare, di usare una mimica facciale inconfondibile. Per approcciarsi a un tale mostro sacro c’è voluto un notevole coraggio e, siamo sicuri, un approfondito studio su decine di film e materiale d’archivio. Sono state mosse critiche, forse un po’ ingenerose da parte di alcuni degli eredi dell’attore scomparso, come quella del nipote Igor Righetti, secondo il quale «Quella di Edoardo Pesce è un’imitazione mal riuscita: non basta una protesi al naso e scimmiottare la parlata romanesca per diventare Alberto Sordi».
Dal nostro canto pensiamo fosse invece impossibile fare un lavoro di questo genere escludendo completamente l’apporto mimetico. Ma se vogliamo analizzare la differenza tra imitazione e interpretazione, dovremmo guardare ad altri momenti e altri personaggi. Prendiamo le veloci apparizioni del seppur bravo Lillo Petrolo, nella parte di Aldo Fabrizi, o la breve sequenza in cui fa capolino Stefano Skalkotos nei panni di Corrado Mantoni: si riscontrano in loro alti e bassi recitativi notabili anche nel resto del cast.
Sono ottimi sia Colangeli che la Cruciani (quest’ultima praticamente una garanzia), ma lascia più perplessi la scelta di Paradossi per il ruolo di Fellini che, oltre a un accento romagnolo un po’ forzato, non sembra avere il giusto spessore per una parte così importante. Azzeccatissima, invece, Pia Lanciotti per il volto di Andreina Pagnani, capace di dare la necessaria profondità a un personaggio che, sebbene così importante per Alberto Sordi, è oggi una figura praticamente sconosciuta per il grande pubblico.
Nonostante la proiezione speciale al cinema dello scorso mese di febbraio, Permette? Alberto Sordi rimane ovviamente un prodotto televisivo e come tale deve essere considerato. Si tratta di un titolo molto buono, tutto sommato ben recitato e girato e che, in fin dei conti, soffre dei problemi di cui soffrono tutti i film biografici (quelli oggi chiamati “biopic”), cioè la insormontabile difficoltà di condensare in due ore vite celebri, scegliendo taluni aspetti da raccontare invece che altri, rispettando il più possibile la verosimiglianza dei fatti ma costretti anche a romanzare quel tanto che basta per poter avere una sceneggiatura godibile per gli spettatori. Compito che non è mai facile (per non dire impossibile) e si rischia sempre di scontentare qualcuno, tanto più quando il protagonista, come in questo caso, è un personaggio che ha goduto di enorme popolarità. Il risultato finale è comunque positivo e dimostra, quantomeno, un grande impegno per la messa in scena dell’intera storia e una grande ammirazione per Alberto Sordi.
Edoardo Pesce, anch’egli intervenuto pochi giorni fa in Campidoglio alla presentazione della mostra per il centenario della nascita del celebre attore, ha dichiarato: «Il film è anche un racconto che parla di tenacia, una qualità molto importante per i ragazzi di oggi. Senza tenacia Alberto Sordi si sarebbe arreso, soprattutto quando venne cacciato dall’accademia. Ha invece tenuto duro e ha continuato il suo cammino fino al successo mondiale».
Permette? Alberto Sordi
Sceneggiatura: Dido Castelli, Luca Manfredi, Edoardo Pesce
Regia: Luca Manfredi
Produzione: Rai Fiction, Ocean Productions
Distribuito da: Rai
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