Spettacolo: habemus legem!

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foto teatro da Shutterstock

Non importa quanto si aspetta, ma chi si aspetta, rispondeva Tony Curtis in A qualcuno piace caldo. Vero, se riguarda Marilyn Monroe; un po’ meno, se riguarda una legge per disciplinare il settore dello spettacolo dal vivo che si attende da oltre mezzo secolo (settantuno anni, per la precisione). Fatto sta che ora – finalmente – l’attesa è finita e dopo l’approvazione in Senato dello scorso settembre, il nuovo Codice dello Spettacolo ha ottenuto il definitivo consenso alla Camera con 265 voti favorevoli e 13 contrari, con successiva soddisfazione espressa dal ministro dei beni culturali Dario Franceschini che twitta: «Dopo il cinema è legge anche la riforma dello spettacolo dal vivo. 19 milioni in più ogni anno, estensione ArtBonus, tax credit musica, superamento degli animali nei circhi, aiuto a tutti i nuovi settori, dalle rievocazioni storiche alla canzone d’autore».

Scorrendo il testo si notano più pregi che difetti, questi ultimi, sottolineati da C.Re.S.Co (Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea), vanno più che altro rintracciati nell’aver affiancato carnevali e rievocazioni storiche alle attività dello spettacolo dal vivo, o le attività amatoriali a quelle professionali, o ancora l’aumento di fondi vociferato intorno ai 100 milioni di euro all’anno, e che invece sarà dotato di 9,5 milioni per il biennio 2018-2019, e 22,5 milioni per il 2020; per l’anno in corso la consistenza del Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo) ammonta a circa 334 milioni.

Tra i diversi aspetti positivi della legge ci sono il sostegno della ricerca e della sperimentazione, delle pluralità espressive, dell’investimento su produzioni nostrane, su giovani realtà artistiche e su giovani spettatori, con l’incentivo a stabilire relazioni con scuole di ogni ordine e grado, e l’investimento a tal proposito di almeno il 3 per cento del Fus per promuovere programmi educativi legati allo spettacolo. Si punta all’aumento della domanda-offerta e al riequilibrio territoriale tra Nord e Sud, all’investimento sui processi di internazionalizzazione attraverso collaborazioni e coproduzioni, alla semplificazione del meccanismo burocratico relativo alla diffusione pubblica dello spettacolo, all’attivazione di piani di ristrutturazione e aggiornamento di spazi e strutture destinati allo spettacolo, al superamento dell’utilizzo di animali nelle attività circensi e degli spettacoli viaggianti, e – tema non poco sensibile – si parla del riordino e dell’introduzione di norme che regolino il rapporto di lavoro nel settore.

E oltre all’istituzione del Consiglio superiore dello spettacolo quale organo consultivo, si punta soprattutto alla revisione dei criteri di ripartizione del Fus tra fondazioni lirico-sinfoniche e gli altri comparti dello spettacolo, al consolidamento del tax credit musica, all’estensione dell’Art Bonus anche ai teatri nazionali, ai Tric (teatri di rilevante interesse culturale), ai festival, ai centri di produzione teatrale e di danza, ai circuiti di distribuzione e alle orchestre, che potranno usufruire del credito d’imposta del 65 per cento per incentivare le erogazioni liberali, finora riservato ai teatri di tradizione e alle fondazioni lirico-sinfoniche. Positivo anche lo stanziamento di 4 milioni per le attività culturali nei territori di Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, devastati dal terremoto del 2016.

Adesso tocca al governo, che avrà un anno di tempo per adottare uno o più decreti legislativi che formeranno questo tanto agognato Codice dello Spettacolo.

 

articolo pubblicato su Tempi, 9 novembre 2017

Foto teatro da Shutterstock