Pupo di zucchero. Emma Dante e la festa del ricordo

In scena fino a sabato 13 novembre al Teatro Carignano di Torino, il nuovo spettacolo scritto e diretto dalla regista palermitana che smembra lo scandalo della morte

È come uno shock termico. Un’improvvisa variazione di temperatura che genera conseguenze psico-fisiche anche molto estese e durature. Quando ci si immerge nel teatro di Emma Dante, in ogni suo lavoro, si fanno sempre i conti con scosse emotive e sensoriali che maturano variabilmente a seconda della sensibilità di ognuno, ma che sono causate da un contrasto sempre sorprendente tra una questione profondamente radicata nell’esistenza dell’essere umano e la sua percezione che crediamo di avere.
Così la morte è oscena solo quando la vestiamo di tetro, di tristezza. Così, Pupo di zucchero, in replica fino a sabato 13 novembre al Teatro Carignano di Torino, l’ultima creazione di Emma Dante, ci mette di fronte – in modo meno “violento” rispetto ad altri spettacoli del passato, con una forza più delicata ma penetrante – al dialogo tra vita e morte, che concede, a chi è rimasto, il mezzo del ricordo per riprendersi momentaneamente chi non c’è più.

“Pupo di zucchero”. Regia Emma Dante. Foto Ivan Nocera

Tratto da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, il testo scritto dalla Dante racconta di un uomo anziano e solo che prepara – è il 2 novembre -, per la festa dei morti, un pupo di zucchero antropomorfo, nel rispetto di una remota tradizione meridionale che prevede di offrire dolci ai defunti in cambio di regali dall’aldilà per i bambini.
La solitudine e gli anni hanno ammaccato il corpo del protagonista (Carmine Marignola è ancora una volta toccante) che se ne sta, elegante, seduto su un piccolo sgabello in una scena vuota e scura, ora sgranando il rosario, ora controllando l’impasto che non ne vuole sapere di lievitare. Alle sue spalle, tre donne in nero scandiscono, con rintocchi di campanelli, il tempo e la memoria. Allora compaiono, uno dopo l’altro, i componenti – parti singole di una melodica sintonia – della sua famiglia: oltre alle tre sorelle dai nomi floreali (Nancy Trabona, Maria Sgro, Federica Greco), c’è una ricurva ed energica mammina (Stephanie Taillandier) in attesa recidiva del ritorno del giovane marito marinaio (Giuseppe Lino), il macchiettistico figlio adottivo Pasqualino (Tiebeu Marc-Henry Brissy Ghadout), Pedro (Sandro Maria Campagna), carismatico andaluso innamorato di una delle sorelle, e gli zii (Martina Caracappa e Valter Sarzi Sartori), nella cui iniziale passione trovano posto anche le botte.

“Pupo di zucchero”. Regia Emma Dante. Foto Ivan Nocera

Quella casa e quel vuoto si animano di corse, balli, suoni: i morti, liberi dall’età, dalla sofferenza, dal tempo, s’inseriscono di colpo nel presente come i personaggi dei sogni, per riempirlo di vita. Mentre la parola diventa guida sonora, insieme alla musica, declinata contemporaneamente nell’italiano e nel dialetto napoletano, nel francese e nello spagnolo, in una partitura di voci e volti, movimenti e presenze che formano i battiti dell’esistenza. E lui, il protagonista, in questa vita li accarezza i suoi morti, restituisce loro il proprio carattere e le proprie abitudini; li tiene con sé nel suo ricordo, senza poterli trattenere: non può evitare che la zia Rita venga picchiata dallo zio Antonio, ma solo ripetere che “chest nun è ammore”; non può evitare che le sorelle s’infettino fatalmente, ma solo trasformare un letto coperto da un telo funebre nel gioco di un agitato nascondino infantile.

“Pupo di zucchero”. Regia Emma Dante. Foto Ivan Nocera

Non aspettatevi toni e significati deprimenti o personalità afflitte. Non riguardano né i personaggi né la concezione scenica di Emma Dante: tra simboli religiosi, danze e canti commoventi, coriandoli e farina lanciati in aria, paillettes e riflessi sgargianti, la scintilla emotiva scatta da sola, delicata e prepotente, nell’incontro tra il dramma della morte e l’ironia, i colori, le sonorità e la dinamicità che abitano il palco, e con le quali si smembra il tabù e la percezione scandalosa della morte stessa.
La morte – si diceva all’inizio – è oscena solo quando la vestiamo di tetro, di tristezza. Come le inquietanti sculture realizzate da Cesare Inzerillo (e trasportate sulla scena – in un’immagine folgorante – dai rispettivi “titolari”) che oppongono alla vitalità dell’anima, l’immobilità della decomposizione anatomica. Come i ceri che si portano alla base delle tombe: si lasciano lì accesi in custodia di quei corpi svuotati. Ma quelli non sono i morti: loro, al sicuro nell’attualità della memoria, ritornano. Fosse anche per un istante che dura per sempre. Ritornano e giocano, e ballano, e parlano, e cantano…

PUPO DI ZUCCHERO
La festa dei morti

liberamente ispirato a Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile

testo e regia Emma Dante

con Carmine Maringola, Nancy Trabona, Maria Sgro, Federica Greco, Sandro Maria Campagna, Giuseppe Lino, Stephanie Taillandier, Tiebeu Marc-Henry Brissy Ghadout, Martina Caracappa, Valter Sarzi Sartori

costumi Emma Dante
sculture Cesare Inzerillo
luci Cristian Zucaro
assistente ai costumi Italia Carroccio
assistente di produzione Daniela Gusmano

Sud Costa Occidentale in coproduzione con Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Scène National Châteauvallon-Liberté, ExtraPôle Provence-Alpes-Côte d’Azur, Teatro Biondo di Palermo, La Criée Théâtre National de Marseille, Festival d’Avignon, Anthéa Antipolis Théâtre d’Antibes, Carnezzeria
e con il sostegno dei Fondi di integrazione per i giovani artisti teatrali della DRAC PACA e della Regione Sud

Teatro Stabile di TorinoTeatro Carignano
Piazza Carignano, 6 – Torino