La poetica della coscienza: “Il teatro comico” di Roberto Latini

Cominciamo con un sincero consiglio: chi non ha ancora visto Il teatro comico di Carlo Goldoni, adattato e diretto da Roberto Latini, corra subito ai ripari e vada al Piccolo Teatro Grassi di Milano: c’è tempo fino al 25 marzo. Perché? Perché in questa nuova produzione del Piccolo, affidata all’intuizione sempre sorprendente, misteriosa e piacevolmente anomala di Roberto Latini, ci confrontiamo con un testo (metateatrale) perennemente – osiamo dire – rivoluzionario.

Rivoluzionario per l’epoca – correva l’anno 1750 -, quando Goldoni gettava le basi per una decostruzione repentina non solo della commedia dell’arte ma del significato stesso di “fare teatro”.

Rivoluzionario ancora oggi per la nostra scena, per il bisogno di rapportarsi ai classici, comprenderne lezioni e limiti attraverso una lettura cosciente che permetta di coglierne l’eredità, farla propria, affinché ne nasca un’espressione inedita non di rappresentazione, di mera replica più o meno fedele, ma di comprensione, di personale restituzione consapevole.

“Il teatro comico” foto Masiar Pasquali

È questa la sensazione percepita nel lavoro che vede protagonisti, oltre allo stesso Latini, Elena Bucci, Marco Sgrosso, Marco Manchisi, Marco Vergani, Stella Piccioni, Savino Paparella e Francesco Pennacchia: è la coscienza delle possibilità, dei livelli, delle diverse sfumature interpretative che possono nascere dall’incontro col testo e contemporaneamente dall’incontro con il proprio passato artistico, con le visioni, le apparizioni sceniche che costituiscono una memoria condivisa.

Ancor prima che si “alzi la tenda”, comincia quello che sarà un navigare costante tra richiami, rimandi, allusioni a grandi maestri come Strehler – emblematica la statua di  un Arlecchino/Soleri che troneggia in proscenio sulla destra -, Leo de Berardinis – la cui impronta recitativa vive, in carne e ossa, in Bucci, Manchisi, Sgrosso e Latini -, Kantor, Pirandello e non solo. Si tratta di un patrimonio di paternità amalgamate, recepite, digerite e rivelate in uno spettacolo complesso e affascinante. Con un Orazio/Latini capocomico che si fa portavoce del cambiamento, di un nuovo modo di recitare, di essere attore, di vivere il teatro, e che sta giù da una grande e centrale pedana/palco basculante sulla quale galleggiano le maschere, le loro ombre e i loro interpreti. Tutti in balia della ricerca di equilibrio comune, della precarietà – anche economica – che soffre la commedia dell’arte privata dell’improvvisazione, e costretta, con citazione recidiva del lazzo della mosca un po’ di Ferruccio Soleri e un po’ di Dario Fo, a cibarsi di insetti ronzanti.

E lui, Orazio, fa anche le veci di un assente Arlecchino per mezzo di un microfono – sempre molto apprezzabile il lavoro di Latini sulla vocalità, sulla parola, sulla relazione con il tessuto musicale -, prima che, “a pezzi”, compaia appeso sopra la scena per essere poi preso, custodito da ogni personaggio, che ne assorbe i colori e, in qualche modo, l’incerto futuro.

Nella struttura drammaturgica a “scatole cinesi” (dove la compagnia di comici è impegnata nelle prove della commedia Il padre rivale del figlio), che compone i tre atti goldoniani, suddivisi qui in due parti, apprezziamo particolarmente le prove d’attore di Elena Bucci (prima e seconda donna), Marco Sgrosso (Tonino/Pantalone nonché una eccentrica cantatrice Eleonora), e Marco Manchisi, con il suo Lelio che si porta dietro fattezze di Pulcinella.

“Il teatro comico” foto Masiar Pasquali

Ruoli doppi (quello di maschere e quello di attori) intervallati da scampanellate quali segnali di pause lavorative e da uno stile recitativo che passa da gestualità caricaturali, marionettistiche, ad atteggiamenti più naturali, verosimile (come ambiva Goldoni), ci conducono in una seconda parte di spettacolo che è forma registica visionaria, astratta, ammaliante, anche per prezioso contributo delle scene di Marco Rossi, delle luci di Max Mugnai, dei costumi di Gianluca Sbicca e delle sonorità profonde di Gianluca Misiti.

Lo spazio si dilata, supera perimetri, include l’intero volume scenico, in una concezione strehleriana che chiama in causa anche una Colombina/Piccioni volante come Ariel de La Tempesta. Perché in questo stato disturbato da forze opposte, maschere, personaggi e interpreti rovesciano se stessi, perdono quasi la propria natura, la propria convenzionale connotazione: in scarpe da ginnastica, monopattini, e policromia d’Arlecchino, scardinano regole e canoni, trasportano le prove della commedia in una condizione concettuale, immaginaria e s’avvicinano alla conclusione (delle prove, dello spettacolo) sfidano la fine, la morte, l’omicidio (con una pistola che spesso fa capolino) come manichini da crash test: per un collaudo teatrale che è sperimentazione, ricerca, tentativo, rischio. Ieri come oggi.

 

Il teatro comico

di Carlo Goldoni

adattamento e regia Roberto Latini

scene Marco Rossi

costumi Gianluca Sbicca

luci Max Mugnai

musiche e suono Gianluca Misiti

con (in ordine alfabetico) Elena Bucci, Roberto Latini, Marco Manchisi, Savino Paparella, Francesco Pennacchia, Stella Piccioni, Marco Sgrosso, Marco Vergani

produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

 

pubblicato su Il Giornale OFF, il 1 marzo 2018