Ivan Alovisio: «Vi racconto il mio viaggio umano pazzesco e indimenticabile»

Tra teatro, cinema e particolari laboratori, l’intervista all’attore torinese in occasione del debutto di martedì 9 ottobre al Piccolo di Milano con La tragedia del vendicatore di Thomas Middleton, diretto da Declan Donnellan

«È una parabola che lega eros, sangue e morte». Sono le parole che Ivan Alovisio, uno  tra i più risoluti, appassionati e disponibili giovani interpreti nostrani, usa per descrivere La tragedia del vendicatore di Thomas Middleton, che lo vedrà impegnato, insieme ad altri tredici attori, dal 9 ottobre al 16 novembre al Piccolo di Milano per la regia di Declan Donnellan. Un testo d’epoca elisabettiana colmo di sconcezze, violenze, tossicità d’animi e di azioni riconducibili alla corte depravata del Duca (che negli anni Settanta Luca Ronconi mise in scena con un cast tutto al femminile e un’autorialità all’epoca imputabile a Cyril Tourneur), con il quale ora si misura un maestro del teatro contemporaneo come Donnellan e, con lui, tra gli altri, Ivan Alovisio.

Ivan Alovisio, tra pochissimo il debutto nella sala Strehler del Piccolo. Che ruolo avrà e cosa vedremo in questa tragedia?

Sarò Lussurioso, il figlio del Duca. Un nome che rivela, come per tutti i personaggi di questo testo, il tratto principale del ruolo. Prima però partiamo da un presupposto: La tragedia del vendicatore è una “soggettiva” della vendetta di Vindice che decide di entrare alla corte del Duca per vendicarsi della sua sposa violentata e uccisa. Gli altri personaggi ruotano attorno alla sua vendetta. Una vendetta personale che, per osmosi, diventa di tutti e, nel caso di Lussurioso, da subito determinato a possedere una vergine, si passerà dal desiderio sessuale a quello di vendetta e di sangue. Si tratta di una trama estremamente intrecciata e con molteplici sfumature: e la cosa interessante che Declan ci ha chiesto è di non dimenticare mai il tratto ironico di tutto questo. Perché, da un certo punto vista, c’è un taglio narrativo che è quasi fumettistico (nel senso alto del termine). È come se l’autore si divertisse a prendere in giro questo attaccamento alla giustizia che tutti hanno e che cela, però, le magagne interiori di ognuno… Come dire: c’è bisogno di fare giustizia con se stessi, prima di pretenderla fuori.

E con Donnellan come avete lavorato su questa parabola che conduce i personaggi alla vendetta?

Ci sono state tre fasi di lavoro diverse (cominciate a luglio, nel Centro Teatrale Santacristina, e terminate con le prove sul palcoscenico) unite da un filo rosso che è il lato umano. Sì, il lato umano, non saprei come definirlo diversamente. Ho avuto la fortuna di lavore con grandi maestri, da Luca Ronconi a Peter Stein, da Glauco Mauri a Federico Tiezzi, ma ciò che ho incontrato artisticamente con Declan è la comunicazione di qualcosa che ha a che fare con l’umanità. Lui ha detto: «Recitare è patteggiare con la propria intimità e con l’intimità di un’altro condividendo un grado di empatia». E questo fa ancora molta paura.

Perché?

Perché essere davvero presenti in scena è molto difficile. È più semplice pre-organizzare qualcosa, diventare interessante, che riuscire ad aprirsi (nonostante gli aspetti strutturali e tecnici rimangano, ovviamente). È un po’ come nella vita: quando smetti di dare per scontate le cose e le persone che ti stanno accanto, e inizi a guardarle in faccia ciò che ti circonda, ti si apre un mondo. In teatro ci sono delle regole da rispettare, ma riuscire a essere presenti è diverso.  Ed è difficile. Molto. Personalmente è un lavoro che mi mette in difficoltà e quindi mi spinge sempre a riflettere.

“La tragedia del vendicatore”. Prove al Centro Teatrale Santacristina

Questa però non è la prima occasione d’incontro con Donnellan…

Declan l’avevo già incontrato in un laboratorio a Torino, dopodiché mi ha chiamato per fare quattro provini al Piccolo, e poi mi ha scelto per la parte di Lussurioso. E per me lavorare con lui, lo dico fuori dai denti perché non è un segreto che mi sia allontanato da registi anche molto importanti con i quali umanamente non mi trovavo, è stato ed è un viaggio pazzesco, bellissimo. Declan ha una caratteristica che non ho mai trovato in un altro regista: non ti fa mai percepire la pressione. Mai. Ti dà una grandissima fiducia: si fida dei tuoi mezzi e delle tue capacità. Trasmette una serie di visioni e storie collaterali al nucleo centrale del testo per poi lasciare a te, attore, la possibilità di cogliere, elaborare e trasformare tutto sul palcoscenico. Ovviamente, quando le cose non gli tornano, interviene. Ma, anche qui, in modo estremamente semplice: le note che dà sono tratti del personaggio, niente di specifico. Lui si fida e ti accoglie. Ti accoglie anche nell’errore, perché quello che lui cerca non è la perfezione; lui ci dice: «Non vi voglio veri, vi voglio vivi». E questo è uno degli insegnamenti più importanti. È come se il centro del lavoro non fosse lo spettacolo, ma la relazione tra noi e lui. Questo mi ha sorpreso, ha sorpreso un po’ tutti noi. Io in questo modo sento libero di potermi aprire, di poter provare qualcosa che magari non verrà tenuta, ma che comunque posso avere la possibilità di sperimentare. Il che ti spinge a essere creativo: certo ti senti nudo, senza alcun appiglio, però in qualche modo diventi “autore”. È una libertà immensa.

«Non vi voglio veri, vi voglio vivi». La verità in teatro non esiste?

Donnellan sostiene che il teatro sia una maschera, e cercare la cosiddetta “verità” nel teatro è una grandissima presunzione. Perché proprio attraverso la finzione ci si può avvicinare a qualcosa di autentico. Le autenticità di per sé sono imprendibili, sono epifanie. E la scena non è un luogo dove diventare puri, dove liberarsi. Puri e liberi, al massimo, se possibile, lo si diventa dopo, a spettacolo concluso. In scena bruci, bruci le tue croste. Questo è per me La tragedia del vendicatore: un viaggio interiore che è cominciato con il primo giorno di prove e terminerà con la fine della tournée, indipendentemente dal risultato. Ed è umanamente fantastico. 

Ivan Alovisio

Il suo lavoro però non si limita all’apprendimento e all’interpretazione. Lei insegna e tiene laboratori in uno spazio particolare: “PointZero”.

PointZero è uno spazio che si trova in provincia di Torino, ad Avigliana, ed è nato da un mio periodo di crisi nella quale non sapevo che direzione prendere professionalmente e personalmente. Ho deciso allora di riempire questo cratere con tutta la creatività che avevo in quel momento. È un contesto naturale dove potersi liberare attraverso un lavoro sul proprio corpo e sulla propria presenza, sulla relazione con l’altro, per accedere a qualcosa di più autentico del proprio essere. È uno spazio dove poter condividere dei principi empatici solidali e umani, uno spazio multidisciplinare che coinvolge anche mostre ed esposizioni, e che vuole portare il teatro alla persone comuni (non solo, quindi, rivolto a ragazzi che vogliono prepararsi per le scuole di teatro). Voglio avvicinare l’impiegato qualsiasi ai principi della creatività e dello sguardo un po’ più obliquo e meno standardizzato sulla vita, per capire insieme come smettere di essere “ordinari” e dare libero sfogo a un certo tipo di fantasia. Perché la fantasia è insita nell’essere umano. Ho la fortuna di poter abitare, per mestiere, il luogo della fantasia e credo che oggi, in un sistema dove tutto è burocratizzato, si tende ad annientare il lato umano della persona. Io cerco di fare l’esatto opposto: mi piace contaminare con la fantasia un mondo che di fantasia sta patendo. 

Un luogo di commistione di competenze e umanità…

La scorsa estate hanno partecipato anche professionisti della comunicazione, insegnanti, imprenditori: ho voluto unire diverse capacità e mescolarle a un mio punto di vista, senza imporre nulla alle persone che partecipano ai miei laboratori, non mi interessa. Le coordino piuttosto. Ho una formazione che è molto legata all’artigianato: con Ronconi questo è stato chiarissimo. Quello che noi facciamo è simile a ciò che fa uno scultore che con lo scalpello: toglie i pezzi fino a rivelare l’opera d’arte. La somma di tante cose, e soprattutto di tanti incontri artistici (con italiani, arabi, tedeschi, inglesi) mi ha dato modo di comprendere meglio il nostro teatro, dal punto di vista linguistico e antropologico, ed è quello che cerco di fare con chi partecipa ai miei laboratori.

Cosa succederà dopo La tragedia del vendicatore?

Finirò a febbraio la tournée, poi mi fermerò per un viaggio dopodiché mi dedicherò al cinema. Ho bisogno di concedermi non soltanto alla scena, e non riesco a definirmi attore di teatro o di cinema o di televisione: in realtà ogni definizione mi sta stretta. Preferisco parlare di me come di una persona curiosa che cerca di attraversare tante porte e trarre da ogni esperienza qualcosa di creativo, di vivo e interessante che gli permetta di esprimersi nella propria vita. 

 

La tragedia del vendicatore

di Thomas Middleton
drammaturgia e regia Declan Donnellan
versione italiana Stefano Massini
scene e costumi Nick Ormerod
luci Judith Greenwood, Claudio De Pace
musiche originali Gianluca Misiti
con Ivan Alovisio, Alessandro Bandini, Marco Brinzi, Fausto Cabra, Martin Ilunga Chishimba, Christian Di Filippo, Raffaele Esposito, Ruggero Franceschini, Pia Lanciotti, Errico Liguori, Marta Malvestiti, David Meden, Massimiliano Speziani, Beatrice Vecchione
regista assistente Francesco Bianchi
collaboratore movimenti di scena Alessio Romano
coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa | ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione

Piccolo Teatro Strehler
dal 9 ottobre al 16 novembre 2018