Daimon 4.0. Se Platone usasse i social
Scritto, diretto e interpretato da Tiziana Sensi, la voce dell’anima fa i conti con le conseguenze dell’evoluzione tecnologica in un monologo diretto e provocatorio
Il Daimon, come ci insegna Platone, è una sorta di voce dell’anima, uno spirito che ti sussurra nel momento più inaspettato la strada che desideri percorrere. È uno slancio irresistibile a cui è difficile resistere.
Tiziana Sensi, con tutta la sua energia, inizia parlandoci del suo Daimon 4.0, cominciando dal racconto di una semplice spazzola che diventava microfono: per lei, ancora bambina negli anni Ottanta, significava comprendere che il palcoscenico era il futuro che voleva vivere.
Ma siamo ancora capaci, oggi, di ascoltare il nostro spirito? Di metterci in ascolto di noi stessi? Oppure siamo eccessivamente bombardati di messaggi, schiavizzati dalla tecnologia, ancorati allo smartphone, soggiogati dagli “influencer” che ci spingono a desiderare cose di cui, in realtà, non abbiamo bisogno?
La risposta non è semplice, ma certamente il panorama che viene tinteggiato in questo fosco, provocatorio e interessantissimo monologo è uno scenario che impone una riflessione e, anche nel nostro piccolo, una reazione.
Non a caso, Tiziana Sensi, prima di iniziare realmente il suo lungo racconto, apre lo spettacolo (visto al Teatro Marconi di Roma) avvolta nelle tenebre, interprete di un’inquietante figura cibernetica che è incarnazione dell’ormai onnipresente Algoritmo. La sua voce gelida emette sentenze, delinea obiettivi, stabilisce lo stato d’avanzamento del suo piano con toni perentori: l’impressione è quella di un giudizio quasi apocalittico.
Presto si accendono le luci, viene smesso il costume che ci aveva turbato fino a pochi istanti prima, e la simpatia, il calore di Sensi sul momento paiono rassicurarci.
Certamente, durante la prima metà dello spettacolo si ride molto, si ripercorrono i tanti modi di vivere che hanno definito l’esistenza di tante persone fino alla metà degli anni Novanta e che, oggi, ricordano un mondo lontano dalla iperconnettività, dal digitale, dal “tutto a portata di un click”.
La pazienza nell’usare i vecchi apparecchi, il desiderio autentico di sentire la voce di una persona (che valeva la pensa di camminare fino a una cabina telefonica pur di chiamarla), la scoperta di un posto sconosciuto che impegnava la fatica di guardandosi attorno, cercando la meta grazie a un “tuttocittà” stretta in pugno, o, perché no, grazie a qualche informazione chiesta a un passante.
Siamo sicuri che le meraviglie della rivoluzione tecnologica (che stiamo ancora vivendo), oltre alle tante comodità e veloci soluzioni, non ci abbia sottratto qualcosa? Non ci abbia privati di una parte della nostra umanità? Siamo ancora in tempo per scuoterci da questa (inconsapevole?) situazione?
Daimon 4.0, scritto da Maria Grazia Aurilio e dalla stessa Tiziana Sensi (che oltre a esserne l’interprete ne cura anche la regia), cerca di scattare una fotografia, di offrirci un’istantanea di una certa deriva che la società, innegabilmente, sta attraversando, forse senza aver seriamente compreso la portata di alcuni cambiamenti in atto e dei grandi pericoli che fronteggiamo.
Fa molto pensare il modo subdolo con cui questo malessere permea le nostre giornate, senza essere da subito percepito e quindi estirpato con la dovuta convinzione.
È un ammonimento che riguarda tutti ma chiaramente a preoccupare di più sono le nuove generazioni. Nonostante, nella seconda parte dello spettacolo, il filo conduttore si sfilacci un po’, perdendo la consistenza di una vera e propria narrazione, gli argomenti toccati lasciano comunque una sensazione di angoscia.
Le tante riflessioni sono accompagnate da video, tratti da quella sconfinata miniera che sono oggi i social network, a sottolineare un’agghiacciante invasione nella nostra quotidianità di persone che si riprendono nel fare le cose più assurde: presentazione di oggetti inutili, azioni imbarazzanti, rischi spaventosi corsi in nome di assurde “challenge” e così via: una deprimente galleria di orrori digitali.
L’impatto che tutto ciò ha soprattutto sui nuovi nati (ma non solo) deve destare più di qualche preoccupazione, soprattutto quando, volgendo al termine, Tiziana Sensi vira in un imprevisto quanto stimolante passaggio dedicato alla biologia del nostro cervello.
La mente, com’è noto, “scolpisce” la sua struttura neurale grazie all’esperienza, al modo di vivere, a quello che vediamo e proviamo. Non tutti riflettono sul fatto che proprio la nostra materia grigia ora si modella in base a comportamenti che nulla hanno a che vedere con i rapporti interpersonali, con il contatto umano, con la percezione delle cose reali.
Questo comporta un danno, forse irreversibile, della capacità di essere empatici, di usare il linguaggio al posto delle emoticon e, dunque, di sviluppare positivamente un pensiero sofisticato e, di conseguenza, l’intelligenza.
Insomma, molto materiale sul quale farsi delle domande e, pur valendo l’ammonimento finale a non ripudiare la tecnologia, vale anche l’esortazione a recuperare la felicità di parlare direttamente con chi ci circonda, sforzandosi di trovare il modo meno veloce ma forse migliore di relazionarsi col prossimo.
Difficile, al termine di Daimon 4.0, riprendere lo smartphone dalla tasca, accenderlo e guadarlo con gli stessi occhi.
DAIMON 4.O
Regia: Tiziana Sensi
Drammaturgia: Maria Grazia Aurilio e Tiziana Sensi
con Tiziana Sensi
supervisione alla regia: Caterina Gramaglia
luci: Flavio Perillo
video: Nuvole Rapide Produzioni