Salone Internazionale del Libro 2021. Resa dei conti col peso delle parole

Si chiude l’edizione XXXIII con boom di visitatori e vendite, e numeri record al pari del 2019. Gli editori registrano un aumento in media del 50%. Tra gli incontri più attesi, un imprevedibile Michel Houellebecq

Ieri, lunedì 18 ottobre, sono terminati i cinque giorni di Salone Internazionale del Libro di Torino. Con un flusso costante di visitatori (circa 150 mila) nei 3 padiglioni più Oval; vendite che – dichiarano molti editori – segnano un aumento intorno al cinquanta percento, ed eventi sempre ben frequentati.  I numeri di questa XXXIII edizione non possono che soddisfare il direttore Nicola Lagioia il quale, ha commentato, sono pari all’affluenza pre-covid del 2019.

Tra i tantissimi appuntamenti che senza sosta hanno riempito le giornate della manifestazione, ne abbiamo seguito da vicino alcuni che per tematiche trattate, originalità di riflessione, sensibilità di approccio ci sono sembrati particolarmente radicati all’attualità. 
Così Leonardo Bianchi, autore di Compotti! (edito minimum fax), Carlo Greppi, a cui fa capo la collana “Fact Checking” di Laterza, e Valentina Pisanty, semiologa e firma de I guardiani della memoria (Bompiani), hanno dialogato con il pubblico circa la natura, lo sviluppo fisiologico e la diffusione delle teorie complottiste e negazioniste dall’assalto americano a Capitol Hill al Covid. Il concetto di Umberto Eco “La gente crede solo in quello che sa già” ha fatto da consapevolezza di analisi adattabile ai vari contesti socio-politici attuali. La teoria negazionista, come quella complottista, ha chiarito Valentina Pisanty, ha uno schema narrativo vuoto che ognuno può riempire con il “colpevole” più adeguato. E solitamente questo accade nei periodi critici o post-critici: in un terreno, come quello contemporaneo, dove una crisi economica, unita alla velocità di diffusione dei social e all’isolamento sociale, dà luogo a un’esplosione di teorie complottiste.

Ma – ammoniscono gli autori – liquidare queste teorie come semplici falsità dichiarate non è un atteggiamento corretto: bisogna capire cosa c’è di vero e bisogna dare una spiegazione alternativa ragionevole a queste teorie. Smontarle, fare un mero “debunked” non basta. «Sbagliato ridicolizzare – prosegue Bianchi – ma bisogna tenere presente che alcune teorie sono pericolose perché capaci di generare comportamenti violenti». Le fantasie cospirazioniste di oggi, infatti, continua Carlo Greppi, tendono a dare ordine al mondo con risposte molto semplici a problemi molto articolati che, storicamente, derivano sempre da una concatenazione complessa di azioni e fatti. I complotti, in altre parole, è vero che esistono. Ma è anche vero che non può essere tutto un complotto.

L’uso delle parole, il linguaggio usato nei diversi contesti si porta dietro una responsabilità spesso trascurata dalla coscienza di chi parla e chi ascolta. La filosofa del linguaggio Claudia Bianchi pone alcuni quesiti intorno al ruolo di chi parla (soprattutto se ricopre posizioni istituzionali) nello spostare i limiti di ciò che può essere detto e, quindi, ciò che può essere fatto. Autrice di Hate speech. Il lato oscuro del linguaggio (Laterza), Claudia Bianchi analizza alcune vicende recenti – dal caso di Pio e Amedeo ai discorsi di Trump, alle frasi di Vittorio Feltri – per concentrarsi sull’importanza della scelta di termini e sull’azione propedeutica che il linguaggio d’odio può avere nelle azioni violente. I significati racchiusi nelle parole e negli epiteti hanno un peso che non andrebbe mai banalizzato: «Dovremmo scegliere il linguaggio come facciamo con le azioni». Questo non significa censurare i lemmi usati, quanto maturare una sensibilità nella scelta di una parola che sappiamo, oggi, avere valori denigratori, offensivi resi legittimi nell’attimo stesso in cui la si pronuncia.
Le attività di resistenza e contrasto, conclude Bianchi, cominciano nella presa di coscienza di tutti della necessità di non banalizzare il linguaggio e il suo uso: «Le parole sono un elemento di liberazione, ci permettono di esprimere la nostra identità. Dobbiamo esserne ben consapevoli».

L’identità e la sua espressione sono anche al centro del racconto di Liv Ferracchiati, personalità teatrale molto ben ispirata in colloquio con Elena Stancanelli e Isabella Lagattolla, presente insieme al suo romanzo d’esordio Sarà solo la fine del mondo (Marsilio). Un romanzo che la stessa Stancanelli ha definito “sconfinato”, dove il protagonista e la storia raccontata servono all’autore per intessere con il lettore un dialogo diretto, personale: come fosse uno spettatore, anzi un compagno di avventura: «Questo romanzo arriva in un periodo particolare della mia ricerca teatrale. Mi ferisce la passività dello spettatore, perché rappresenta il mio fallimento nello smuovere quel dialogo energetico tra attore e pubblico. Cerco di fare lo stesso qui con il lettore, anche se io come autore non posso essere presente». E insieme al lettore affronta il rapporto con l’identità attraverso la parola: il personaggio principale si sceglie il nome, intraprende un percorso di transizione di genere mantenendosi, però, libero dalle etichette, dalle aspettative sociali e dai canoni.
Parte da considerazioni autobiografiche, Liv Ferracchiati, e costruisce una storia in cui il tempo si svincola dai limiti, e con uno sguardo d’insieme, esterno e lontano, disegna un uomo nato in corpo di donna che gioca con la propria identità e se ne libera: «Così accetta e perdona la sua parte femminile, arriva persino ad amarla e allora diventa completo. Essere uomo o donna non significa aderire a un canone sociale, ma a decisioni ed emozioni personali: ci si aspetta che una persona transgender modifichi il suo corpo per uniformarsi ai caratteri dell’altro genere, alle convenzioni sociali che li definiscono. Beh, non è così».

Di identità, di amore, ma anche di politica e persino di sushi ha parlato uno tra i più importanti scrittori viventi francesi Michel Houellebecq. Cinico provocatore e caustico visionario, stanco – ha ammesso – a causa del nuovo libro appena concluso, Houellebecq premiato da Marco Missiroli con il Premio internazionale Mondello, ha raccontato di sé con toni pacati, calmi. Ha vinto una sfida lanciata sul momento da Missiroli sulla presenza costante del sesso nelle sue opere: «Apro a caso le Particelle elementari – provoca Missiroli -, se si parla di sesso offre una cena a Parigi». Houellebecq rilancia, gli prende il libro e apre verso la fine, casualmente. Missiroli ha perso: niente sesso in quella pagina.
Partendo dalle sue opere e dal suo pensiero, dall’approccio all’esistenza e all’umanità con occhio scientifico, si sono toccati temi legati alle relazioni («L’amore si prende quando c’è; non si guarda da dove viene. Spesso arriva dopo una caduta e, per me, ha lo stesso ruolo di Dio»); alla politica («Guardo in televisione ogni elezione e resto sempre affascinato dallo spettacolo: della politica mi interessano le strategie, le alleanze, il non detto»); alla lettura e alla scrittura («Ho cominciato da bambino a leggere tanto, tanto, tanto. Ancora oggi leggo molta filosofia e ho scoperto di saper scrivere romanzi. Invento storie e personaggi e mi ci affeziono come lettore e come scrittore»).
Il mestiere dello scrittore si definisce insieme al tempo della scrittura, dice Houellebecq; e per lui, quel tempo è la notte: «Al giorno appartengono i problemi reali, nella notte, invece, lo spirito è libero. E bisogna approfittarne: di notte i sogni si ricordano ancora». 

Non sono mancati i riferimenti alle tre “cattedrali”: il supermercato, l’automobile e l’aeroporto Paris-Charles de Gaulle. «Il primo – dice Houellebeck – è quanto di più vicino ci sia al Paradiso; il secondo è munito di un linguaggio specifico e affasciante; il terzo è una rappresentazione in scala del mondo: un luogo concentrato dove si vendono tante cose che non servono a nulla». E non è mancata nemmeno la risposta a una domanda curiosa dal pubblico: una signora gli chiede quale ristorante sushi parigino consiglia. Senza scomporsi, Houellebecq, dopo un’attenta valutazione ha risposto: «Quando ti chiedono un posto dove andare a mangiare, si indica sempre un ristorante italiano. Quando si deve ordinare a casa, si sceglie sushi. Non ho mai capito perché». 

Salone internazionale del libro XXXIII – Vita Supernova
dal 14 al 18 ottobre 2021

Lingotto Fiere, Via Nizza, 294
info e contatti: salonelibro.it