La resistenza è femmina

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Viaggi di riscatto nelle storie raccolte da Djamila Ibrahim in Il peggio è passato, edizioni Mondadori. Tra speranza e nostalgia, le vite e la forza di donne vittime odierne di soprusi, violenze e discriminazioni 

Ci sono vite passate, drammi superati, speranze e sogni quasi raggiunti. Ci sono donne la cui forza e resistenza hanno non solo permesso di mantenerle in vita, ma sono diventate alimento principale di una determinazione legittima: il riscatto. Un riscatto esistenziale ancor prima che sociale, per il quale si lotta, si scende a compromessi, si tenta e ritenta, si accettano condizioni anche indicibili. 

Sono le sfumature di un comune denominatore che unisce le storie raccolte da Djamila Ibrahim nel suo Il peggio è passato. Donne in cerca di un luogo da chiamare casa, edito Mondadori, per traduzione di Silvia Manzio. Lei, Djamila Ibrahim, autrice di origini etiopi, nata a Addis Abeba, canadese di Toronto dal 1990, mette in sequenza nove capitoli nei quali racchiude la vicenda di donne (e con loro anche uomini e bambini) giunte in Occidente (in Canada prevalentemente) da paesi africani o mediorientali, che si trovano a dover fronteggiare – dopo patimenti antichi – inedite e quotidiane battaglie private, più o meno drammatiche, per raggiungere un senso di appartenenza – perché in questo sta il significato del concetto “casa” – in quei luoghi nuovi, finalmente liberi – in teoria – dall’oppressione.

Sapeva che Adam avrebbe considerato la sua paura irrazionale, ma in quel momento nel suo cuore ha preso forma una convinzione dura come il marmo. Non voleva morire da sola in terra straniera. Se doveva morire, voleva farlo in mezzo al suo popolo e per una causa per cui valesse la pena lottare. Voleva essere sepolta dov’era nata, nel Semhar, con l’odore della calda brezza marina nel naso e il gusto del sale sulla lingua

Tra tempi passati e presenti, in un intervallo tra vita attuale colta dall’autrice/narratrice nell’istante del suo svolgersi, e passati che irrompono come veri e propri flashback di contemporaneità svanite, il lettore si confronta con atrocità, prigionie, angosce e inquietudini permanenti. Quelle della donna prima combattente dell’esercito della resistenza eritrea, poi inserviente in Canada; della giovane aggredita in quel di Toronto perché portatrice di hijab; della devota moglie musulmana che spera con il matrimonio di porre fine alle pressioni famigliari, o della collaboratrice domestica che lascia l’Etiopia per Damasco in cerca di lavoro, e che invece si trova soffocata dalla guerra civile siriana.

«Te lo immagini? Quarant’anni di fila con una donna al governo? Insomma, ovviamente non sempre la stessa donna, ma…» Ti sei appoggiata alla parete accanto a un’enorme stampa di Rosemary Brown e ti sei messa a roteare lo scotch intorno all’indice con gli occhi pieni di possibilità che io non riuscivo nemmeno a immaginare

Sono storie di chi ce l’ha fatta a sopravvivere, di chi ha lasciato terre e famiglie natie, culture e tradizioni identitarie per nuovi incontri e nuove possibilità. Ed è proprio da qui che Ibrahim costruisce i suoi racconti, partendo da ciò che accade dopo: dopo l’addio, dopo la separazione, dopo l’arrivo. Dopo. Quando matura la nostalgia, la mancanza di luoghi e persone, quando cresce la voglia di tornare, insieme alla scoperta di sentirsi straniero, diverso proprio in quei posti dove si celebra la libertà.

E non si troveranno pietismi nella scrittura di queste esistenze segnate, mutilate. C’è invece una semplicità d’esposizione arricchita da particolari percezioni sensoriali capaci di tracciare i contorni di paesi e di affetti conosciuti, memorabili. E tra questi il lettore incontrerà personalità diverse nel loro essere determinate, intraprendenti, coraggiose. Tutte, comunque, simbolo di una resistenza straordinariamente femminile ai soprusi della guerra, alla violenza maschile, alle discriminazioni mutevoli che, quelle sì, non trovano frontiere spazio-temporali.

Almeno nello sguardo dei vicini Sara intravedeva l’invidia mescolata alla condanna, mentre lanciavano occhiate ai suoi abiti di foggia straniera e ai suoi gioielli d’oro. Quella reazione l’ha fatta infuriare. Ha riso del suo disagio, indossando la maschera protettiva della figlia unica che ha imparato fin da piccola che contro la paura o la vergogna una risata può essere potente quanto pugno

 

Il peggio è passato
Donne in cerca di un luogo da chiamare casa
di Djamila Ibrahim

Editore: Mondadori
Anno edizione: 2019
Pagine: 204 pp.
Prezzo: € 16,00