Eroi senza gloria. La guerra in soggettiva
“La danza della morte”, “La catastrofe” e “Iţic Ştrul disertore”: tre racconti del rumeno Liviu Rebreanu tradotti per la prima volta in italiano da Marsilio Editori, sono una commovente immersione emotiva e personale nella campagna balcanica
Per gli “Anemoni”, collana diretta da Annalisa Cosentino e Luigi Reitani sui classici centroeuropei, Marsilio ha da poco pubblicato tre racconti dell’autore rumeno Liviu Rebreanu in Eroi senza gloria, per cura e traduzione di Angela Tarantino.
Tre storie relativamente brevi che ripercorrono alcune battaglie della prima guerra mondiale tra esercito rumeno e austro-ungarico attraverso il punto di vista dei rispettivi protagonisti: attraverso, cioè, una vera e propria soggettiva – chiamando in causa il gergo cinematografico – del soldato che si fa non solo testimone diretto della realtà drammatica che deve vivere, ma immediato donatore di sensazioni ed emozioni spiazzanti.
“La danza della morte” “La catastrofe” e “Iţic Ştrul disertore” sono i tre titoli, per la prima volta tradotti in italiano, preceduti da un’apertura di Angela Tarantino che analizza da vicino le tematiche, i diversi fils rouges e il rapporto (diretto) delle storie con la vita del loro autore. La particolarità della scrittura di Rebreanu, agevole e quasi colloquiale, si sposa con la volontà di narrare un evento collettivo come la guerra da un punto di vista estremamente individuale: lo scontro dunque non è solo quello storico, quello combattuto con bombe e proiettili, ma è soprattutto quello privato dell’uomo che ne divora l’esistenza. Come spiega bene Tarantino: «La scena del conflitto è lo spazio entro cui si consumano i destini individuali che portano dentro di sé le stimmate della tragedia».
La chiamata alle armi, gli interminabili tragitti a piedi, i boati, il freddo, il buio, la paura, i panorami desolanti eppure ammalianti, i pensieri che battono rumorosi nella testa come spari infiniti, la mancanza di un posto chiamato “casa”, sono alcune delle percezioni che i protagonisti delle tre storie ereditano dallo stato di guerra, e che condividono fino a liberarsene tragicamente. Intanto il tempo perde i propri confini, i luoghi, così come i volti di compagni e dei nemici, perdono definizione, si riducono a nomi conosciuti: l’identità stessa, la propria soprattutto, cede il passo al dubbio, la compassione vacilla per opporsi alla follia, e le origini orgogliose diventano pericolosamente infamanti.
Il tempo passa così faticosamente che sembra piombo fuso. Il sole è sul punto di tramontare. Tutta l’aria odora di polvere da sparo.
Potremmo ripercorrere i tre racconti dall’inizio alla fine, rivelare gli sventurati epiloghi di ognuno senza peccare di spoiler perché la bellezza di questo libro sta non tanto, o non solo, nelle storie che tratta, ma nel modo in cui Rebreanu sceglie di farlo. Così ne “La danza della morte” il contrasto tra Haramu e Boroiu passa dal campo militare a quello sentimentale (entrambi innamorati della stessa donna, moglie del primo): i loro contrasti da commilitoni svelano due rivalità a confronto con il proprio passato, due caratteri opposti, due modi antitetici di affrontare la vita e la morte, che ora si trovano a spartirsi, come fratelli, una quotidianità fatta d’insonnia, oscurità, paranoia dell’uno e sfacciataggine dell’altro.
«Senti come fischiano?» dice Haramu, ascoltando le pallottole che riempiono l’aria con le loro grida. «Lo sai vero che cercano me… Io lo sento che mi stanno cercando».
Rebreanu nel secondo racconto, “La catastrofe”, pone al centro il dilemma identitario, con una certa dose autobiografica, come sottolinea Tarantino: «suddito dell’Impero autro-ungarico, ex ufficiale del Regio Esercito Ungherese, esule nella capitale del paese cui appartiene per un legame di sangue che non ha alcuna valenza giuridica». Il viaggio verso il fronte del pacato protagonista David Pop – colui che «voleva tranquillità» – è anche un percorso interiore di crisi dei valori: quello di appartenenza (essere rumeno eppure vestire la divisa del nemico esercito asburgico), della patria, della risposta al dovere. Il dovere, ovvero “fare il proprio dovere”, diventa infatti il monito ripetuto e auto-inflitto per (di)sperato effetto di “banalizzare il male” delle uccisioni, per autocontrollo e sopportazione dell’orrore bellico. È, in altre parole, una rassegnazione lucida al non senso della guerra.
«Versiamo il nostro sangue in paesi stranieri e non sappiamo perché!» disse Candale con lo stesso tono. […] «Perché ce l’abbiamo con i serbi? Perché ce l’abbiamo con i russi o gli italiani? Perché? […] Cosa ci hanno fatto e cosa gli abbiamo fatto?».
Il cammino senza destinazione, senza chiari riferimenti spazio-temporali, è invece il contesto dell’ultimo racconto “Iţic Ştrul disertore”, che segue il tragitto di Iţic Ştrul e di un altro soldato dentro un bosco innevato. Un percorso silenzioso, immerso in un paesaggio gelido, immobile. Non c’è una meta, non c’è una direzione. C’è però un motivo che spinge i due a mettersi in viaggio: è la diserzione. Disertare per avere salva la vita. Disertare come via di fuga per un’incompatibilità – di nuovo – d’identità, di appartenenza etnica, comunitaria. Disertare come condanna a morte.
Le poche parole che i due militari si scambiano, e i pesanti pensieri che affollano la loro mente, ci restituiscono immagini di privati passati più o meno recenti, di personalità maturate – colui che un tempo era chiamato “coniglio” è oggi diventato un uomo coraggioso: si è adattato alla guerra! -, di assordanti sospetti reciproci, di abbandoni, di domande che non troveranno mai pace. Non ancora. Non in questo mondo.
Allora tirò fuori la testa per vedere con chi si sarebbe dovuto battere. Non scoprendo nulla, si stupì e si calmò molto. «Ma che razza di guerra è questa, che non sai neppure chi uccidi?».
Eroi senza gloria
di Liviu Rebreanu
Traduttore: Angela Tarantino
Editore: Marsilio Editori
Collana: Anemoni
Anno edizione: 2018
Pagine: 144 p.
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