Un anno, una notte. Quel che c’è dopo l’orrore

Gli attentati dell’ISIS in Francia, la strage del Bataclan. Il regista spagnolo Isaki Lacuesta dirige un film volutamente imperfetto: un racconto tagliente dell’incontro con l’atrocità e della convivenza col trauma

Era un venerdì il 13 novembre del 2015, quando nella città di Parigi alcuni terroristi armati, collegati all’autoproclamato Stato Islamico, l’ISIS, realizzarono quasi contemporaneamente una serie di attacchi in 6 diverse zone della città. Quella notte, a Parigi, furono uccise centotrenta persone, di cui novanta al Teatro Bataclan, sala concerti dove si stava esibendo il gruppo rock Eagles of Death Metal. Quella sera, tre terroristi vestiti di nero, equipaggiati di fucili d’assalto ed esplosivi, irruppero nel Bataclan e, attorno alle 21:40, iniziano a sparare su una folla di 1.500 spettatori inermi, urlando e inneggiando alla Siria e all’Iraq, mentre la band statunitense stava suonando il brano “Kiss the Devil”.
L’assedio finì solo dopo tre ore, grazie all’intervento delle squadre della “Brigade de Recherche et d’Intervention”, corpo speciale della polizia francese. Mentre gli attacchi erano ancora in corso, in un discorso televisivo l’allora presidente francese François Hollande dichiarò lo stato di emergenza in tutta la Francia. Fu una strage, una mattanza, la cui efferatezza mai potrà essere dimenticata, che oltre ai molti morti di quella notte, che furono di ben ventisei diverse nazionalità, ferì in maniera profonda anche coloro che vi sopravvissero, la cui vita da quel momento cambiò irrimediabilmente.

“Un anno, una notte”. Regia Isaki Lacuesta

Tra coloro che uscirono vivi dal Bataclan quella notte, vi furono Céline e Ramón, lui spagnolo, lei francese: due corpi vivi ma terrorizzati, abbracciati e avvolti nella carta stagnola che la polizia aveva dato loro per scaldarsi. Continuavano a guardarsi intorno mentre camminavano verso casa, come se in ogni attimo fosse pronta una nuova minaccia capace di trascinarli nuovamente nel buio. Nei loro sguardi, per chi li incontrava, c’era solo l’orrore. Da quel giorno la loro vita fu molto diversa da come l’avevano conosciuta prima, l’amore e la complicità, che sino a quel momento li avevano legati, si persero nel dolore delle ferite di quella maledetta notte. La diversa percezione del trauma vissuto e della successiva sindrome che ne derivò iniziò a dividerli, giorno dopo giorno, grida dopo grida. E la loro mente iniziò a smarrirsi tra ricordi asfissianti e il desiderio di oblio. 

Nell’intenso film Un anno, Una notte, del regista spagnolo Isaki Lacuesta, presentato al 72° Festival di Berlino e tratto dal romanzo autobiografico Paz, amor y death metal di Ramón González, vi è tutta l’essenza del racconto dei sopravvissuti al Bataclan e di come la loro lotta per sopravvivere sia proseguita ben oltre quella notte e non sia mai finita.

“Un anno, una notte”. Regia Isaki Lacuesta

Straordinari i due attori protagonisti, Noémie Merlant, nel ruolo di Céline e, soprattutto, Nahuel Pérez Biscayart, in quello di Ramón. Ottima la regia, che sceglie sapientemente di rappresentare l’orrore facendolo immaginare più che mostrandolo. Notevole il montaggio, che frammenta volutamente spazio e tempo, per rendere perfettamente le percezioni dei protagonisti che, in qualsiasi luogo o momento, finiscono col tornare con la mente a quella notte, facendo così ripiombare gli spettori, d’improvviso, in quell’incubo. 

La narrazione del film è quindi deliberatamente sconnessa e caotica, proprio al fine di rappresentare lo smarrimento e il caos interiori dei due protagonisti, e la tensione della storia, anche grazie alla colonna sonora perfettamente funzionale, resta accesa in ogni scena, quantomeno nella prima metà del film. Nella seconda parte, invece, purtroppo il ritmo cala e la storia sembra perdersi in dialoghi sempre più lunghi e ripetitivi, soffermandosi eccessivamente sulla crisi profonda in cui la coppia di protagonisti affoga, senza cercare mai nuovi incentivi che pure la vicenda avrebbe offerto, e non approfondendo alcuni temi che pure sono introdotti. Si pensi agli aspetti più sociali e politici connessi alla tragedia narrata o al trauma inteso come possibilità inattesa di riavvicinamento a se stessi e alla propria vita: tutti argomenti solamente accennati e poi abbandonati.

“Un anno, una notte”. Regia Isaki Lacuesta

Ne consegue che l’attenzione dello spettatore lentamente si degrada, così come l’affezione verso i due personaggi principali – soprattutto verso Céline, sempre più fredda e ostile – totalmente trasmutati dal dolore che li pervade. Allorquando la narrazione sembra proporre una lettura completamente differente della storia – una svolta narrativa più o meno sorprendente, effettiva o semplicemente immaginata non importa – la struttura del film non regge e sembra alla fine crollare sotto il peso di eccessive ambiguità e incoerenze.

Ma pur nell’imperfezione della sua costruzione e nel rimpianto per il film che avrebbe potuto essere e che tuttavia non è, Un anno, Una notte resta un’opera da non perdere. Il film riesce pienamente infatti nell’obbiettivo di raccontare senza retorica e strumentalizzazioni le vittime in vita del terrorismo, dedicandosi a descrivere la loro lotta quotidiana per riafferrare, o forse afferrare per la prima volta, il sogno di una felicità improvvisamente travolto o perduto. Citando lo straordinario monologo del personaggio del colonnello Kurtz, in Apocalypse Now, «È impossibile trovare le parole per descrivere ciò che è necessario a coloro che non sanno ciò che significa l’orrore». Il film di Lacuesta sembra esserne perfettamente consapevole, lasciando soprattutto che siano gli occhi di Ramón e Céline a far comprendere come sia fatto il volto dell’orrore.

UN ANNO, UNA NOTTE
Un film di Isaki Lacuesta
con Noémi Merlant e Nahuel Pérez Biscayart

Produzione: Bambú Producciones, La Termita Films, Noodles Production
Distribuito da: Academy Two

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