TFF 38 | Kufid. Di epidemia e alienazione del vivere

Per la sezione “Internazionale Doc”, Elia Moutamid firma un documentario intimo e attuale sulla percezione della quotidianità all’epoca del Covid

Elia Moutamid è un regista di origine marocchina che vive a Brescia fin da piccolo, da quando lì è immigrata la sua famiglia. Sta portando avanti un suo progetto: un documentario girato proprio in Marocco che riguarda la “gentrificazione”, fenomeno di innovazione urbanistica che, dietro l’idea di progresso, finisce per stravolgere la storia e l’identità di interi quartieri delle moderne città. Al momento di mettere assieme il materiale però, lo stravolgimento arriva direttamente in casa: quella dello stesso Moutamid e quella di chiunque: comincia l’epidemia di Covid.

“Kufid”. Regia Elia Moutamid

Dopo il primo disorientamento, trovandosi nella regione, la Lombardia, che nel marzo 2020 è stata tra le più colpite del pianeta, l’occhio e l’istinto del regista prendono il sopravvento e, in modo inaspettato, nasce un documentario nuovo e più intimo. Le lunghe settimane della quarantena, l’angoscia di quella prima ondata, fanno da sfondo a un diario che cerca di raccontare non tanto il virus quanto il suo impatto nel piccolo (e nel micro) mondo di ogni famiglia. Le lunghe ore trascorse a meditare, a cercare un senso a quanto accade, costringono chiunque a fare i conti con una realtà improvvisamente aliena. E lo stesso invisibile nemico diventa un compagno costante delle giornate, tanto che il regista, durante le sue riflessioni, prende a dargli del tu chiamandolo “Kufid”, quasi fosse l’entità stessa alla base di questo straniamento il miglior interlocutore delle sue inquietudini.

“Kufid”. Regia Elia Moutamid

È Kufid che ci ferma finalmente, che ci permette di guardare con occhi nuovi il nostro quotidiano per scoprirlo molto meno attraente di prima. Brescia, senza più persone in giro, diventa un deserto fatto di capannoni fatiscenti, orridi prefabbricati e centri commerciali svuotati che, improvvisamente, rivelano la loro reale natura di colate di cemento squallide ed esteticamente inguardabili.
Il senso di impotenza e oppressione si materializza in un fratello malato accanto al quale è impossibile stare, nella burocrazia imperante e nel calvario di far rientrare il padre dal Marocco quando il virus, anche lì, giunge inarrestabile. E poi, finalmente, l’inizio della cosiddetta “Fase 2”, il tentato ritorno alla normalità. Ma le persone, esattamente come l’ambiente urbano che ci circonda, sembrano essere cambiate e peggiorate.
“Kufid” ci ha davvero insegnato qualcosa o è stato tutto inutile?

Elia Moutamid torna al Torino Film Festival, dove tre anni fa, con il documentario Talien, aveva conquistato il Premio speciale della giuria e il premio collaterale “Gli occhiali di Gandhi”, preludio per la menzione speciale ai Nastri d’Argento 2018. 
Questa volta ci racconta come un progetto, riguardante lo sradicamento dell’identità di interi quartieri, può trasformarsi in un faro acceso su quello che appare un vero e proprio sradicamento di un’identità sociale e civile. Lo si accusa, quando difende i vecchi quartieri anche di epoca medievale, di essere un utopista: una persona che non vuole arrendersi all’inevitabile cambiamento che la storia porta con sé, come se questo fosse sempre positivo, come se questo passaggio dovesse essere sempre acriticamente abbracciato. Le constatazioni amare sulla progressiva alienazione del nostro modo di vivere, ben illustrata dalla pervasiva presenza dei social, si sovrappongono a una comunicazione sempre più impersonale fatta di telefonini, di scambi di messaggi vocali, di Whatsapp che si sostituisce agli abbracci e ai gesti semplici che popolavano le sbiadite fotografie di un tempo. 

“Kufid”. Regia Elia Moutamid

Quella del regista è una personalità divisa fra la sua identità italiana, il paese in cui è cresciuto e si è formato (e in cui la sua famiglia ha prosperato), e la cultura marocchina sempre presente e alla base della suo essere. Il dialetto bresciano di ogni giorno si alterna con la voce narrante più intima che, non a caso, è rigorosamente in lingua araba. Questa dualità gli permette di osservare da un punto di vista peculiare quanto accade attorno a lui, nella sua abitazione, in città, nel paese. Ogni volta che si comincia qualcosa di nuovo, ci viene suggerito, è bene dire “Inch’Allah” (“se Dio vuole”), e anche stavolta sembra il caso di affidarsi proprio a Lui, visto che il panorama e lo stravolgimento che ha lasciato “Kufid” non sembrano promettere nulla di buono. C’è da chiedersi: è cambiato qualcosa oppure quello che di peggio vediamo c’era già e sta semplicemente dilagando? Sarà solo la storia a dirci se è vero che “Andrà tutto bene” o se qualcosa è irrimediabilmente mutato nelle nostre vite. E allora: sarà possibile resistere a tutto questo o invece, come sembra essere perfino lo stesso Moutamid, siamo troppo esausti per opporci?

KUFID

Sceneggiatura: Elia Moutamid
Regia: Elia Moutamid
Produzione: 5e6 Srl
Distribuito da: Cineclub Internazionale Distribuzione