Rewind | Ligabue. Riscoperta di un tormentato artista naïf

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Disponibile su RaiPlay la miniserie degli anni Settanta diretta da Salvatore Nocita, con Flavio Bucci interprete dell’incompreso pittore italo-elvetico

Antonio Ligabue è uno dei pittori meno compresi del XX° secolo, dalla vita travagliata e sofferente. La sua storia, portata al cinema in questi mesi da Giorgio Diritti con il film Volevo nascondermi, è valsa all’attore Elio Germano il premio “Orso d’argento” come miglior attore alla Berlinale 2020. Il film, naturalmente, ha subìto un rinvio nella programmazione nelle sale a causa della pandemia dovuta al virus Covid-19. Ma il personaggio era stato già portato sugli schermi televisivi nel 1977 dal regista Salvatore Nocita, con un grande Flavio Bucci poi premiato anch’egli come miglior attore al Festival di Montreal. In questo periodo storicamente così complesso, è il caso di andare a recuperare su RaiPlay questa bella miniserie.

“Ligabue”. Regia Salvatore Nocita

Ligabue era nato in Svizzera, ma a causa dei suoi problemi mentali, del suo carattere difficile e introverso, venne espulso dal paese elvetico e inviato nel 1919 in Italia, nel piccolo comune di Gualtieri, Reggio Emilia, il luogo d’origine del padre adottivo Bonfiglio Laccabue. Aveva solo vent’anni.
Prende inizio da questo momento, dal traumatico impatto con la realtà profondamente provinciale e contadina della Bassa reggiana, una delle migliori produzioni Rai degli anni Settanta, girata con grande attenzione nei luoghi dove effettivamente visse il pittore e scultore. Composto da tre puntate, lo sceneggiato si basa sul racconto in versi Toni Ligabue di Cesare Zavattini, pubblicato nel 1967 da Franco Maria Ricci. È proprio lo stesso Zavattini, giornalista, scrittore e autore di innumerevoli soggetti cinematografici, a firmarne la sceneggiatura, la cui impronta neorealista si avverte con forza durante l’intero arco narrativo. 

La fotografia di Roberto Gerardi ci cala in un’ambientazione fredda, arida, essenziale. È il modo giusto di rendere non solo il gelo del clima, sopportato dall’artista che vive recluso nel bosco in una spoglia capanna, nascosto e refrattario ai contatti sociali, ma anche l’altro gelo, quello emotivo che la popolazione gli restituisce. Sono poche infatti le persone che lo avvicinano, gli altri lo chiamano “al matt” (“il matto”) o “al tedesch” (“il tedesco”), lo dileggiano o lo guardano comunque con sospetto nonostante sia innocuo. È solo grazie a una notevole sensibilità e apertura mentale che un altro pittore e scultore, Renato Marino Mazzacurati (Giuseppe Pambieri), insieme alla moglie Pia (Pamela Villoresi), decide di farsi carico dei problemi e della miseria in cui versa Toni. Lo consiglia, gli trova posto nella sua serra, gli dona tutto ciò di cui ha bisogno per coltivare, affinare e mettere in pratica la sua arte e il suo talento. 

“Ligabue”. Regia Salvatore Nocita

Col tempo, grazie a questi aiuti, Ligabue riesce a farsi lentamente conoscere nella sua zona, pur continuando a soffrire di grandi lacerazioni: non ha una donna, ha pochissimi amici, vende spesso i suoi quadri per qualche piatto di minestra. Non ha neanche il conforto della famiglia, poiché il suo stesso nome, Ligabue, è l’alterazione di quello del suo padre adottivo, quel Laccabue che egli per tutta la vita ripudia e continua a credere il reale responsabile della morte della madre (in realtà l’uomo venne scagionato dall’accusa di uxoricidio e il decesso della moglie pare sia stato dovuto a una grave intossicazione alimentare). 

“Ligabue”. Regia Salvatore Nocita

Nel cast sono presenti anche Alessandro Haber, nella parte dell’amico di sempre Cachi, e Renzo Palmer, che interpreta il sindaco di Gualtieri, ma il grande sfondo della storia lo fanno i volti straordinariamente popolari che l’accompagnano: osti, contadini, nullafacenti, prostitute e monelli di strada. E naturalmente il dialetto della zona, giustamente parlato anche in forma stretta. Tutti in qualche modo oscurati dalla gigantesca prestazione di Flavio Bucci, capace di impersonare in modo viscerale, con mimica facciale e fortemente fisica, una figura tragica e tormentata, con la sua fragilità e i suoi scatti d’ira.
Quando nel 1961 Ligabue finalmente espone a Roma, nella prestigiosa galleria La Barcaccia, ecco, finalmente, la definitiva consacrazione di un artista che, però, vive ancora in un alberghetto dell’Emilia. E che comunque non ha tempo per godersi la serenità faticosamente acquisita, perché appena un anno dopo viene colpito da una emiparesi che ne blocca la produzione e lo conduce alla morte nel 1965.
Nella sequenza finale Nocita rende estremamente amaro anche il momento del funerale, a sottolineare come il pittore sia stato sempre circondato da una certa superficialità e incomprensione che non lo abbandonano neanche nel momento dell’estremo saluto. Il discorso funebre del sindaco, infatti, sebbene ispirato e toccante, viene coperto dai tanti pensieri sparsi del popolino che segue il feretro, intento in commenti gretti, provinciali, fatti di frasi fatte, banalità e aneddoti di poco conto. Segno che alla fine, nonostante i riconoscimenti e gli elogi della comunità intellettuale italiana, Ligabue per la gente di Gualtieri rimane solo e soltanto “Toni al matt”.

LIGABUE

Sceneggiatura: Cesare Zavattini
Regia: Salvatore Nocita

con Flavio Bucci, Alessandro Haber, Giuseppe Pambieri, Pamela Villoresi, Renzo Palmer

Produzione: RAI – Radiotelevisione Italiana
Distribuito da: RAI, Sacis

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