Fratelli pittori. Il trionfo dei sensi. Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti

Fino al 16 giugno a Palazzo Barberini di Roma, una mostra sui due pittori calabresi che celebra i sensi

La restituzione al Ministero dei Beni culturali della Sala Regia e degli altri spazi attigui del Piano Nobile di Palazzo Barberini, occupati fino al 2015 dal Circolo Ufficiali delle Forze Armate, non ha soltanto permesso alle Gallerie Nazionali Barberini Corsini di realizzare un nuovo percorso museale – ampliato di ben oltre 750 metri e di 11 nuove sale – ma anche di poter presentare per la prima volta al pubblico un’enorme tela – precedentemente in prestito presso il suddetto circolo – firmata da Gregorio e Mattia Preti intorno a cui ruota l’intera mostra Il trionfo dei sensi. Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti. Ma prima l’Allegoria dei cinque sensi è stata oggetto – grazie alla generosità dello studio legale Dentons – di un delicato intervento di restauro e analisi: alcuni risultati sorprendenti hanno permesso di approfondire ulteriormente la natura stilistica dei due fratelli pittori. 

Didascalia: Gregorio e Mattia Preti, “Allegoria dei cinque sensi”, 1642-1646 ca., Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, olio su tela, 200 x 396 cm

Originario di Taverna, un piccolo centro in provincia di Catanzaro, Gregorio Preti ha più o meno una trentina d’anni quando, intorno al 1630, arriva a Roma. Poco più tardi lo raggiunge il giovane Mattia, destinato a grandi cose e a oscurare il fratello grazie a un talento decisamente più spiccato. Ma siamo ancora nella prima parte degli anni ’40 e i Preti hanno l’abitudine di dipingere a due mani, come accade per l’Allegoria dei cinque sensi. Il quadro è sicuramente frutto di un’importante commissione: lo rivelano il fatto che sia stato dipinto su un’unica pezza di tela nonostante le dimensioni imponenti e la complessità delle invenzioni figurative. Probabilmente il committente è proprio un Barberini, visto che l’opera è attestata negli inventari seicenteschi della potentissima famiglia, ma sicuramente Gregorio ha un ruolo più rilevante nella sua creazione: prova ne è l’autoritratto che campeggia al centro e che l’immagine radiografica rivela vanitosamente ringiovanito rispetto alla stesura originale. Impossibile si tratti di Mattia, allora poco più che adolescente. 

Gregorio e Mattia Preti, “Allegoria dei cinque sensi”, (Particolare) 1642-1646 ca., Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, olio su tela, 200 x 396 cm

E a proposito di radiografie: se l’Allegoria dei cinque sensi delega a una scena ambientata in una taverna il compito di rappresentarli tutti, ci sono molti segreti nascosti sotto la superficie pittorica. È facile intuire che, partendo da sinistra, l’esecuzione musicale si riferisca all’udito mentre il fumatore di pipa di fianco al gruppo rappresenti l’olfatto. I bevitori riassumono il gusto e la zingara che legge la mano al giovanotto indica il tatto. La vista è argutamente lasciata all’autoritratto di Gregorio, che rivolge gli occhi allo spettatore e in più è pittore. Relegati in fondo a destra, ma particolarmente significativi, ci sono, infine, altri due personaggi: quello che ride di gusto con un turbante in testa è Democrito, mentre sopra di lui c’è uno sconsolato Eraclito. La filosofia del primo postula che esistano due tipi di conoscenza: l’autentica, scaturita dall’intelletto, da contrapporsi alla fallace proveniente dai sensi. In ogni caso, però, le leggi della natura sono per lui casuali quindi perché crucciarsene? Il secondo, invece, in quanto teorico del continuo mutamento non può che accigliarsi di fronte alla caducità della realtà. Percezioni sensoriali comprese. Entrambi, uno con il riso l’altro con la tristezza, invitano in ogni caso a non fidarsi di ciò che si prova.
Grazie al lavoro di restauro e indagine diagnostica – curati da Giuseppe Mantella insieme a Sante Guido – si scopre che dal dipinto, già ricco di suo nella versione finale, almeno dieci figure già ultimate furono eliminate del tutto. Altre, invece, risultano notevolmente modificate. Ripensamenti e pentimenti sono solitamente frequenti in opere che non prevedono cartoni preparatori, ma in questo caso spariscono vere e proprie occasioni di racconto: per esempio l’uomo con cappello asinino, magari un saltimbanco, il cui aspetto vagamente luciferino avrebbe dato un tocco più inquietante all’intera compagnia. Così come svanisce un’anziana o, forse, una fanciulla che – originariamente posizionata tra la seducente violinista e il bel chitarrista – indossa una disturbante maschera tragica. 

Gregorio e Mattia Preti, “Concerto con scena di buona ventura (Allegoria dei cinque sensi)”, 1630-1635, Torino, Accademia Albertina, olio su tela, 195 x 285 cm

La nuova luce con cui si vogliono rischiarare non solo le pitture ma anche le vicende personali e artistiche dei due fratelli calabresi non finisce qui ma si proietta anche sulle altre 11 opere in mostra: come il Concerto con scena di buona ventura, conservato presso l’Accademia Albertina di Torino e che costituisce un ideale controcanto alla tela che dà il titolo all’esposizione. 

O altri esempi di lavori a quattro mani quali Cristo davanti a Pilato di Palazzo Pallavicini Rospigliosi o Cristo che guarisce l’idropico direttamente da una collezione privata. Non mancano, inoltre, alcune raffigurazioni inedite al pubblico riferite al solo Mattia: prima tra tutte Cristo e la Cananea – originariamente di proprietà dei Principi Colonna – tanto monumentale quanto rivelatrice perché fornita di una data certa. È, infatti, attraverso essa che è stato possibile dare un preciso ordine cronologico a tutta la sua prima produzione.

Mattia Preti, “Cristo e la Cananea”, 1646-1647, collezione privata, olio su tela, 235 x 235 cm
Mattia Preti, “Apostolo”, 1635 ca., Torino, Galleria Giamblanco, olio su tela, 97 x 73,5 cm

Si continua con l’Archimede, conservato a Varese, e un Apostolo da collezione privata: entrambi i quadri riflettono la fascinazione subita dal più giovane Preti circa le creazioni di Caravaggio e Jusepe de Ribera.

E il rapporto tra i fratelli come si evolse? Lo studioso Sebastiano Resta (1635-1714) racconta di come il maggiore avesse talmente a cuore la
formazione del minore da “lavorare per bottegari, che allora erano ricchi”, pare riuscendo persino a farlo studiare per un breve periodo presso Giovanni Lanfranco. Ma Gregorio era, di fatto, un pittore di mestiere: ripeteva spesso gli stessi schemi e la sua era una visione sempre più datata. Mattia, invece, come dimostrano chiaramente la Negazione di Pietro o la Fuga da Troia – entrambe stabilmente a Palazzo Barberini – fa suoi i modelli caravaggeschi o di Ribera e prende spunto dal Guercino o da Lanfranco ma sempre restituendone le suggestioni con grande forza.

Mattia Preti, “Negazione di Pietro”, 1635-1640 ca., Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, olio su tela, 126 x 97 cm

Tanto da arrivare a essere investito da Urbano VIII dell’ambitissimo titolo di Cavaliere dell’Ordine di Malta, ricevere l’incarico di dipingere una pala per la chiesa di San Pantaleo, decorare lo stendardo processionale di San Martino al Cimino su richiesta della temibile Olimpia Maidalchini Pamphilj fino alla commissione degli affreschi dell’abside di Sant’Andrea della Valle. A questo punto le strade dei due fratelli si dividono: il 5 marzo 1646, infatti, Mattia risulta abitare da solo. Ma c’è ancora tempo per un ultimo lavoro insieme: la controfacciata di San Carlo ai Catinari, dove entrambi – ma singolarmente – dipingeranno episodi della vita di San Carlo Borromeo. Confrontandolo, il risultato rivela l’incommensurabile distanza che ormai separa la qualità artistica dei due: il talento di Mattia lo spingerà alla volta di Napoli, dove lo attende ulteriore gloria, e poi a Malta. Gregorio, di contro, finirà con lo sposare tardivamente una vedova aquilana e la sua poetica sarà sempre più vicina al Classicismo.

Mattia Preti, “Testa di bambina con collana di corallo”, 1645-1650 ca., Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, olio su tela, 32 x 28,5 cm

In concomitanza alla durata della mostra si svolgeranno tantissime attività di approfondimento: ogni mercoledì alle ore 17:00 – escluso il 1° maggio – sono state organizzate visite guidate gratuite a opera dei due bravi curatori, Alessandro Cosma e Yuri Primarosa. È inoltre previsto un ciclo di conferenze che si terranno il 16 aprile, il 7 e il 21 maggio, l’11 giugno. Infine, appositamente per i più piccoli, visite animate e laboratori didattici tutte le domeniche alle ore 16:00 fino al 16 giugno, escluse le prime del mese. Occasioni imperdibili e trasversali per permettere a chiunque lo desideri di scoprire e riscoprire la storia di due fratelli pittori le cui creazioni hanno ancora molto da raccontare. Come la Testa di bambina con collana di corallo, gioiello ritenuto all’epoca un valido talismano contro i pericoli dell’infanzia: una piccola ma deliziosa tela, probabilmente uno studio per uso personale non finito, dimenticata per un secolo nei depositi della Galleria Corsini e recentissimamente attribuita proprio a Mattia Preti. 

 

Il trionfo dei sensi. Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti

PALAZZO BARBERINI, Via delle Quattro Fontane 13 – Roma
www.barberinicorsini.org | comunicazione@barberinicorsini.org

Orari: martedì/domenica 8.30 – 19.00. La biglietteria chiude alle 18.00. Chiuso lunedì, il 1° gennaio, 25 dicembre.

Biglietto: Intero 12 € – Ridotto 6 €. Il biglietto è valido dal momento della timbratura per 10 giorni in entrambe le sedi del Museo: Palazzo Barberini e Galleria Corsini. Gratuito: minori di 18 anni, scolaresche e insegnanti accompagnatori dell’Unione Europea (previa prenotazione), studenti e docenti di Architettura, Lettere (indirizzo archeologico o storico-artistico), Conservazione dei Beni Culturali e Scienze della Formazione, Accademie di Belle Arti, dipendenti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, membri ICOM, guide ed interpreti turistici in servizio, giornalisti con tesserino dell’ordine, portatori di handicap con accompagnatore, personale docente della scuola, di ruolo o con contratto a termine, dietro esibizione di idonea attestazione sul modello predisposto dal Miur.