DIA. Trent’anni di Antimafia. Nel nome della lotta alla criminalità organizzata

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Al Palazzo Carignano di Torino, l’esposizione della Direzione Investigativa Antimafia con un percorso storico ed emotivo sull’impegno instancabile in difesa della Legalità 

Se volessimo trovare l’unica pecca diremmo che meritava una permanenza più lunga. La mostra DIA. Trent’anni di Antimafia esposta dal 26 al 30 maggio scorso nelle sale del Palazzo Carignano di Torino – a giugno sarà a Roma – , dopo 22 tappe ha fatto sosta nel capoluogo piemontese con cinque giorni di apertura e un notevole numero di visitatori.

Una mostra molto particolare quella dedicata ai trent’anni di incessante impegno svolto dalla Direzione Investigativa Antimafia che accoglie e accompagna il visitatore in un percorso non solo cronologico e narrativo ma anche e soprattutto emotivo attraverso i nomi e i volti, la struttura e il funzionamento, le operazioni e le attività di prevenzione volte alla lotta alla criminalità organizzata.

“DIA. Trent’anni di Antimafia”

Ma DIA. Trent’anni di Antimafia non è soltanto un excursus spazio-temporale tra le pagine più o meno recenti di tragedie collettive e di importanti conquiste, che certamente hanno segnato drasticamente il significato di Legalità e Giustizia. Non è soltanto un cammino  dalla data di costituzione della DIA fino a oggi: è piuttosto una scoperta del lavoro, certosino, instancabile di centinaia e centinaia di uomini e donne dedite a contrastare qualsiasi forma di mafia. E questo concetto racchiude un mondo di diligenza e rigore professionale per nulla scontato.
Dal contrasto al riciclaggio ai controlli nei cantieri, dalle collaborazioni con le forze dell’ordine e gli uffici istituzionali dello Stato, si scopre una realtà articolata e ramificata   raccontata in questa mostra dai protagonisti dell’Antimafia tra “la storia e la passione”. 

“DIA. Trent’anni di Antimafia”

Dunque, come non ricordare le immagini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; come non riconoscere i titoli giornalistici della cattura del boss dei Casalesi Francesco Schiavone (alias Sandokan), dei milionari sequestri alla Camorra e all’Ndrangheta. Come non riconoscere in quelle fotografie gli orrori di Cosa Nostra, delle sue stragi e minacce. Ci si accorge, passando da una sala all’altra e da un pannello espositivo all’altro, che quel che si osserva non riguarda soltanto fatti di cronaca e drammi nazionali appartenenti all’immaginario comune: si tratta piuttosto del confronto con una parte del nostro DNA memoriale. Così, terminato il percorso, sorge spontanea una riflessione legata all’importanza di questa mostra itinerante: se alimentare la memoria è fondamentale per conservare il ritratto di ciò che la mafia è stata in passato, la conoscenza dell’attività dell’Antimafia alimenta una consapevolezza fondamentale per riconoscere le forme e gli atteggiamenti che la mafia adotta nel presente.